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AFI – Decemberunderground

Gli AFI sono la vostra rock band preferita? Non riuscite a comprendere il concetto stesso di esistenza senza di loro? Dave Havok è colui che meglio di tutti ha tradotto il vostro malessere giovanile? Perfetto, perché in questo caso le scelte da fare sono due: o, con nostro sommo piacere, continuate a leggere quanto segue o, senza rammarico alcuno, cliccate sulla crocetta in altro a destra e a risentirci alla prossima volta. Il motivo di tale premessa è molto semplice da illustrare: in questa sede, Decemberunderground, capitolo numero sette della fortuna discografia della formazione californiana, verrà messo alla gogna e sottoposto successivamente ad una martellante indagine qualitativa, che neppure i fans più duri a morire potrebbero sopportare. Ma procediamo con ordine: chi vi scrive fa davvero fatica a condividere, e probabilmente anche a comprendere, l’ondata di entusiasmo che ha travolto la stragrande maggioranza dei commentatori webiani del globo. Che cosa c’è dietro “Decemberunderground” e soprattutto qual è il segreto del suo successo? Qualcuno potrebbero rispondere che mai come questa volta i testi di Havok avevano profumato così tanto di nera poesia. Qualcun altro, invece, tirerebbe in ballo la sempre utile questione del sound, qui visibilmente rinnovato e decisamente discostato dall’insegna hardcore che caratterizzava album come “The Art Of Drowning” (2000) e “Sing The Sorrow” (2003). Valutazioni legittime sì, ma non del tutto convincenti: come si fa ad intrecciare corone d’alloro per un songwriter che nell’annus domini 2006 punta ancora tutto su consumate ossimore o su più impegnative, si fa per dire, allegorie all’americana? In che termini è possibile parlare di cambiamento radicale quando ciò che per nuovo viene spacciato, altro non è se non un rimpasto calcolato di melodie prese in prestito qua e là e mescolate abilmente alle proprie, bussando alle porte dei quotati Good Charlotte (Summer Shudder), dei dimissionari Blink 182 (The Killing Lights) e degli attempati Offspring (Kill Caustic)? A nulla servono quindi i tentativi, seppur contati, di dare una sferzata all’intero progetto con innesti che rimandano ora ad un disegno sonoro targato Basildon (difficilmente i Depeche Mode cesseranno di essere fonte d’ispirazione per le generazioni a venire), ora al Marilyn Manson più televisivo.

(2006, Interscope)

01 Prelude 12/21
02 Kill Caustic
03 Miss Murder
04 Summer Shudder
05 The Interview
06 Love Like Winter
07 Affliction
08 The Missing Frame
09 Kiss and Control
10 The Killing Lights
11 37mm
12 Endlessly, She Said

A cura di Vittorio Bertone