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Altin Gün – Yol

Nel passato l’imperante anglofonia come unica alternativa alla nostra lingua madre aveva un qualche senso: i negozianti dovevano importare musica con qualche speranza di vendita, l’ascoltatore aveva un budget limitato e rischiarlo su un costoso oggetto di importazione in una lingua incomprensibile era un’impresa temeraria. Al limite ci si concedeva qualcosa di francofono, come un Brel o, in tempi più recenti, i Noir Désir; o qualcosa di latino, meglio se abbinato a qualche ritmo cafone centroamericano. Ma oggi come oggi, nell’era digitale dove qualunque artista è raggiungibile con un clic (e dove lo stato della musica nella nostra lingua madre è un discorso sul quale è meglio soprassedere), non è rischioso avventurarsi nel mondo di quella alla quale negli anni ’80 fu appioppata la definizione di “world music”, e magari scoprire musica assai più interessante dell’interminabile sequela di album indie e trap tutti un po’ uguali che si susseguono da un decennio.

Quale migliore introduzione a questo magico mondo della world se non gli Altin Gün, una band di Amsterdam fatta di turchi e olandesi dediti a rinnovare classici del folk e del rock dell’Anatolia, dando a questi classici sonorità psichedeliche e moderne? Fondati da tre (olandesissimi) membri della band di Jacco Gardner che, affascinati dalle peculiarità della musica turca, si unirono a musicisti turchi, la band è al terzo, affascinante album in quattro anni e, come tantissimi altri musicisti in questi tempi difficili che stiamo vivendo, ha composto e registrato Yol convivendo con le lontananze dettate dalla pandemia, scambiandosi idee a distanza e approfittando del pochissimo tempo di riapertura per registrare le idee discusse in studio.

Non pretenderemo, come hanno fatto alcuni, di essere esperti della musica tradizionale turca (il cui caposaldo è Neşet Ertaş, del quale qui – come negli album precedenti – troviamo diversi brani), ma certamente rimane riconoscibile la melodia distintamente esotica per un occidentale, così come le meravigliose voci di Erdinç Ecevit Yıldız e Merve Daşdemir che cantano testi in turco dei quali probabilmente non avremo mai l’interesse a cercare una traduzione – consolatevi: non li capiscono neanche i membri olandesi della band.

Ma se nei due (ottimi) precedenti la tradizione turca veniva innestata in un contesto prettamente psichedelico atto a rivaleggiare con i King Gizzard, “Yol” intraprende una direzione nella quale la psichedelia viene filtrata attraverso il synthpop e il funk morbido dell’era della disco, e quando si arriva a Yüce Dağ Başında la tentazione di ballare queste melanconiche melodie sostenute da drum machine e magistralmente architettate con gli elementi che vanno a formare un elegante struttura in senso verticale, nella quale le dinamiche vengono esaltate dall’aggiunta (o sottrazione) perfettamente equilibrata di strumentazione (synth, melodica, percussioni, basso, chitarra), è veramente tanta. Ma, siccome la pandemia ci ha veramente rotto i coglioni, balleremo tra le lacrime.

Sì, perché “Yol” ha un’atmosfera decisamente meno gioiosa del suo predecessore nominato ai Grammy (“Geece” del 2019), e ce lo fa capire immediatamente con Ordunun Dereleri, piazzata come seconda canzone dell’album, che, con il suo ritmo che incede lentamente e pesanti synth a sorreggerne la struttura è sicuramente meno ballabile. È la dualità di questi due generi a informare l’album, dualità che a volte sfuma, ad esempio in Bulunur Mu o, soprattutto, in quello che è il miglior pezzo dell’album, Kara Toprak, a un tempo funkeggiante e ballabile e intrisa di malinconia, nella quale il clavinet e il sintetizzatore fungono da sostegno a Merve Daşdemir che evoca con la sua voce sentimenti molto profondi (“Kara Toprak” significa “Terra Nera”, e il pezzo parla di morte – sì, siamo andati a cercare la traduzione).

Gli Altin Gün non sono una divertente bazzecola esotica, ma un gruppo eccellente ed eclettico che arrangia i pezzi in maniera straordinaria. Facciamo che non la chiamiamo con il termine un po’ ottuso di “world music”, ma semplicemente “music”. Tanto, siamo onesti, non è che i testi di Madame siano tanto più comprensibili.

(2021, Glitterbeat)

01 Bahçada Yeşil Çınar
02 Ordunun Dereleri
03 Bulunur Mu
04 Hey Nari
05 Yüce Dağ Başinda
06 Kesik Çayir
07 Arda Boylari
08 Kara Toprak
09 Sevda Olmasaydi
10 Maçka Yollari
11 Yekte
12 Esmerim Güzelim

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.