Home RECENSIONI Arcade Fire – Pink Elephant

Arcade Fire – Pink Elephant

L’anno del serpente del primo singolo estratto da Pink Elephant (che corrisponde nell’oroscopo cinese all’incredibile, spaventoso e movimentato 2025 che stiamo vivendo) simboleggia saggezza, introspezione, mistero e una forte tendenza alla trasformazione (“It’s a season of change / and if you feel strange / it’s probably good”, ripetono Régine Chassagne e Win Butler nel refrain). E per gli Arcade Fire è certamente un periodo di grandi cambiamenti: al settimo album in studio, sono per la prima volta senza Will Butler, polistrumentista e fratello minore di Win, e alla prima uscita dopo lo “scandalo” che ha convolto il frontman.

L’elefante rosa nella stanza? Butler si riferisce con il titolo alla teoria dei processi ironici di Wegner, che sostiene che cercare di sopprimere un pensiero intrusivo innesca due meccanismi psicologici: un processo intenzionale che cerca i pensieri diversi da quelli non desiderati e un processo di monitoraggio inconscio che, ironicamente, cercando di verificare se si sta pensando alla cosa alla quale non si dovrebbe pensare, riporta ad essa il pensiero. “Stuck in my head, stuck in my head!”, ripete ossessivamente Butler nella canzone che chiude l’album (Stuck In My Head, per l’appunto). Ma è di musica che ci interessa parlare, onestamente, e non della vita privata di Butler della quale noi (e anche voi) non conosciamo realmente un cazzo. 

“Pink Elephant” da un lato riporta musicalmente gli Arcade Fire nei territori familiari dove li abbiamo conosciuti, quelli dell’acclamatissimo esordio del 2003 “Funeral”; dall’altro, complice la produzione stellare di Daniel Lanois, li porta a vagare in territori ignoti, includendo ben tre strumentali tra i quali spicca Open Your Heart Or Die Trying in apertura dell’album, strumentali ambient che contribuiscono al mood complessivo in maniera non irrilevante. Ma gli spazi aperti da Lanois possono essere percepiti non solo nei brani ambient, ma in piccole gemme come la bucolica Ride Or Die, che ricorda i Fleet Foxes dell’esordio, rendendo il consueto casino di marca Arcade Fire un album sanguinosamente personale.

Anche quando approcciano motivi più danzerecci (I Love Her Shadow), lo fanno privi della grandeur disco di “Reflektor” (2013): si sente un organetto le cui sonorità non sarebbero state fuori luogo in un brano eurodance anni ’90, ma il cui piglio stanco e nervoso qui assume una connotazione irrazionalmente intima, come un ragazzetto sedicenne brufoloso appena lasciato dalla ragazza che balla nervosamente nella propria stanza, con le cuffie alle orecchie e le lacrime agli occhi. E non esplode mai nel delirio (dis)organizzato al quale ci hanno abituato Butler e Chassagne, ma rimane quasi soffocata in gola. 

È disperante leggere il trattamento riservato a “Pink Elephant” da parte di critica e pubblico perché significa che alla musica, probabilmente, si presta ormai pochissima attenzione. “Sorpresa, sorpesa!”, potrebbe sarcasticamente osservare il lettore più attento, ma la concentrazione dei pensieri è sull’elefante rosa, quello della teoria di Wegner (che poi, in realtà, era un orso polare preso da un’osservazione di Fëdor Dostoevskij); ed è un peccato perché “Pink Elephant”, seppur un disco probabilmente di transizione, da un punto di vista della scrittura e dei suoni è assai superiore al precedente “WE” (2022), e assai più costante e coerente di “Everything Now” (2017) e “Reflektor”, ricchi di singoli straordinari ma qualitativamente altalenanti. La natura estremamente intima sarà probabilmente difficile da riportare nel contesto dei concerti finora quasi da mardi gras della band canadese, o forse sarà un’opportunità per una ecdisi, quel processo comunemente detto “muta” che fa cambiare pelle al serpente. 

2025 | Columbia/Sony

IN BREVE: 4/5

Nicola Corsaro
Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.