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Celeste – Not Your Muse

Sono tempi senza dubbio diversi per la musica, questi che stiamo vivendo, rispetto agli anni ’90. La fruizione di un album, e di conseguenza la sua pubblicazione con tutto il lavoro che c’è di mezzo, non sono parti fondamentali del gioco che era ormai in vigore sin dalla metà degli anni ’60: singolo che promuove l’album in uscita, album che esce, promozione in radio con un altro singolo e qualche apparizione dal vivo in televisione o alla radio, tour che promuove l’album, e si ricomincia da capo. È chiaro quale fosse il focus principale, ed il motivo era semplice: l’album era quello che ti faceva fare i soldi veri. È chiaro quindi il motivo per cui oggi il focus non possa essere il medesimo: i centesimi di nocciolina di Spotify o iTunes, il limitatissimo numero di copie fisiche vendute non sono cose per le quali investire i big money.

Ed è per questo che un’artista come Celeste – già insignita di prestigiosi premi dell’industria musicale britannica – arriva al suo primo album solo oggi, nonostante sia certamente nota da almeno quattro anni. E nota, per chi vive in Inghilterra, è un eufemismo: la sua Stop This Flame, che ricorda in maniera un po’ vaga “Rolling In The Deep” di Adele, fracassa i marroni ai fan della Premier League da una discreta quantità di tempo (un po’ come da noi la divina Mina ha scartavetrato l’apparato riproduttivo di quanti seguono la Serie A) e, non bastasse, la sua A Little Love è stata la colonna sonora per le pubblicità di Natale del gruppo John Lewis e di conseguenza passata instancabilmente durante tutte le feste natalizie, quest’anno più che mai casalinghe per la pandemia. E non parliamo nemmeno dei pezzi meno conosciuti usciti come singoli o piazzati strategicamente in colonne sonore di film probabili candidati agli Oscar 2021.

Probabilmente questo Not Your Muse, fuori per l’etichetta della giovane artista inglese (che sarebbe poi quel gigante della Polydor, grazie al supporto di Michael Kiwanuka), è quasi un inutile suppellettile, necessario a cementarne la reputazione artistica forse, dato che neanche in tour lo si può portare. Ma non sappiamo qual è la reputazione artistica che Celeste vuol costruire per sé: qui, insieme a lei, è co-autore di quasi tutto Jamie Hartman, pluripremiato compositore/produttore per Kylie Minogue, Backstreet Boys, Christina Aguilera, Paloma Faith, Lewis Capaldi e soprattutto per Rag’n’Bone Man, il cui ineludibile successo “Human” porta la firma proprio di Hartman.

E quella altrettanto ineludibile mediocrità permea parte di questo “Not Your Muse” che ha sollecitato paragoni con la citata Adele e con la mai troppo rimpianta Amy Winehouse. Ma la Winehouse, qui vagamente evocata con Love Is Back, al suo esordio con “Frank” era un’autrice sofisticata, raffinata e soprattutto estremamente originale e rifuggiva stereotipi pop della cui banalità erano piene le radio, le TV, le pubblicità, le classifiche. Qui Celeste riesce a salvare tutto con una classe cristallina nelle interpretazioni e con qualche pezzo di disarmante bellezza (Beloved, che con originalità riporta alla mente le grandi dive del jazz; Strange, che ricorda il lato più pop di Kiwanuka), rendendo meno banali composizioni forse non tutte esaltanti.

Il talento è indiscutibile, starà a lei decidere se convogliarlo in una strada simil-adeliana, tentando di raggiungere un successo altrettanto clamoroso, o se alzare la posta (musicalmente parlando) cercando risultati artistici probabilmente meno redditizi ma che rifuggano la terribile mediocrità che infesta qualcuno dei pezzi qui ascoltati.

(2021, Polydor)

01 Ideal Woman
02 Strange
03 Tonight Tonight
04 Stop This Flame
05 Tell Me Something I Don’t Know
06 Not Your Muse
07 Beloved
08 Love Is Back
09 Kiss
10 The Promise
11 A Little Love
12 Some Goodbyes Come With Hellos

IN BREVE: 3/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.