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Exist – So True, So Bound

Con elevata probabilità, l’ambito technical death metal è l’ambiente musicale più ostico in assoluto. Vuoi per il proibitivo tasso tecnico che contraddistingue anche le band di media caratura, vuoi per la saturazione del mercato che settimanalmente (e non è un’esagerazione) propone nuovi act di buon livello, distinguersi in questo contesto è cosa per pochi eletti; ogni sfumatura del mondo ultra tecnico è stata infatti esplorata più e più volte a partire già dai primi anni ’90, quando i maestri Death e Pestilence posero le basi di questa fenomenale corrente.

Gli Exist, giunti ora al secondo LP, sono un ottimo esempio di come sia ancora possibile differenziare la proposta e uscire dal melmoso calderone della conformazione di genere. C’è da dire che la band di base nel Maryland ha tutte le carte in regola per stupire, principalmente a causa dei due componenti che ne sono la colonna portante. Max Phelps, frontman di buona attitudine e mente del progetto è stato niente di meno che turnista dei Cynic nel periodo di “Kindly Bent To Free Us” e ascoltando qualsiasi pezzo degli Exist è palese quanto il ragazzo abbia appreso e sia ispirato da Masvidal e Reinert nel processo di songwriting. Dietro le pelli e con un supporto per nulla supplementare, Hannes Grossmann (uno che di ritmo ne sa qualcosa) fa un lavoro dalla tecnica e dal gusto invidiabili, probabilmente memore della sua prestazione su una pietra miliare della musica estrema come “Epitaph” dei Necrophagist.

So True, So Bound è un disco notevole sin dalle prime note. Limato il sound rispetto al precedente “Sunlight” (2013) anche grazie alla produzione di Getgood dei Periphery, gli Exist rallentano il ritmo e rinunciano con piacere a parte della componente più fusion e schizofrenica in favore di una quadratura e compostezza decisamente più sensata e dall’accesso semplificato. Ragionare significa poter mostrare ulteriori sfumature senza la copertura di un tappeto sonoro che era, nel recente passato, a tratti troppo invasivo e permette al combo di ampliare il ventaglio di soluzioni disponibili arricchendo il sound di elementi più ricercati.

Le prime tracce sono un compendio di musica moderna: le aperture classicamente Cynic sono ancora condizione basilare come nella cangiante So Bound: One Of The Herd ma frammenti di una Take My Picture piuttosto che il claustrofobico incedere di So True: Imitation’s Flattery risultano debitrici di un passaggio per nulla celato al metal progressivo figlio dei compianti Opeth di lavori centrali come “Deliverance” e “Ghost Reveries”; concetto rafforzato dall’alternarsi sempre più importante di parti vocali in clean e in scream, mix che mai è stato esaltato come nella band di Stoccolma. La seconda parte del disco, seppur di livello altissimo, è meno importante, nonostante i passaggi assonanti di una traccia come To Sever The String elevano ulteriormente l’asticella della complessità e profondità tecnica regalando 10 minuti di estasi sonora.

“So True, So Bound” non è comunque un lavoro perfetto. La freddezza di alcune frazioni rimane comunque un elemento difficile da celare per chi suona certa musica e il citazionismo a tratti fine a se stesso mostra come l’esperienza e la maturità siano ancora qualità da perseguire per Phelps. Rimane in ogni caso un LP colossale in un 2017 che sta regalando soddisfazioni ai fan del metal estremo e deciso trampolino per un progetto che merita un ascolto intenso.

(2017, Prosthetic)

01 Take My Picture
02 Happily Ever After (For A Week Or So…)
03 So True: Imitation’s Flattery
04 So Bound: One Of The Herd
05 Peer Prejudice
06 To Sever The Strings
07 Shade From My Fire
08 Fault’s Peaks

IN BREVE: 4/5

Da sempre convinto che sia il metallo fuso a scorrere nelle sue vene, vive la sua esistenza tra ufficio, videogames, motociclette e occhiali da sole. Piemontese convinto, ama la sua barba più di se stesso. Motto: la vita è troppo breve per ascoltare brutta musica.