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Fatima Al Qadiri – Medieval Femme

Nel 1990, tra le centinaia di persone in fuga durante l’esplosione dei pozzi petroliferi in Kuwait c’era anche Fatima Al Qadiri, in viaggio verso il Bahrein con sua madre e sua sorella. Attraversare il deserto a nove anni, in mezzo a cinquecento pozzi in fiamme, “un gigantesco palcoscenico grande quanto il pianeta” lo descrisse Sebastiao Salgado, è un contesto in grado di generare un imprinting in cui bellezza, malvagità e devastazione diventano un unicum perfetto e inscindibile. In quella notte da Inferno dantesco, ascoltando gli Enigma avvolta in uno scenario apocalittico, Fatima Al Qadiri si accese, come il petrolio in fiamme, riuscendo a guarire dall’anedonia musicale provocata dagli avvertimenti della nonna: “Ascoltare musica è peccato, tappati le orecchie e ripeti con me: A’udhu billahi min al shaytan al rajeem (Cerco la protezione di Allah da Satana il maledetto)”.

Per Fatima Al Qadiri, ricordare attraverso il suono è un impulso infantile, un processo evocativo che coinvolge la memoria, preservandola e tramandandola. La musica è reminiscenza e le dieci tracce di Medieval Femme, terzo album in studio per Hyperdub, hanno le fattezze di Al-Khansā, probabilmente la più nota tra le poetesse arabe del periodo preislamico. Al-Khansā fu ineguagliabile nel celebrare la morte, grazie a elegie funebri che attraversarono i secoli con la sola tradizione orale. La musica, soprattutto quella strumentale, per sua natura è un simbolo insaturo e “Medieval Femme” non è altro che una rilettura in schema libero della poesia araba, classica e al femminile. In realtà, solo la penultima traccia resta fedele al progetto originario di campionare le letture di componimenti poetici: Tasakuba scivola lenta, cullata dalla ritmica sensuale della recitazione del distico di Al-Khansā e loop ipnotici.

Le restanti tracce, quasi del tutto strumentali, sono visive di un clima cupo e torrido. Una desertificazione in cui si erge all’improvviso una cattedrale dall’anima cangiante, a volte messianica (Sheba), altre volte erotica (A Certain Concubine); torri di fuoco sembrano emergere dal centro della terra (Vanity), dalle cui pareti vengono invocati i non vivi (Golden); sul finale, echi di una pastorale immaginaria fluttuano dentro  Zandaq. La strumentazione di Fatima Al Qadiri è interamente digitale, aspetto di non poco conto la forte impronta tradizionale che connota il disco: una suite iperreale in cui arpa, corni, liuti, organi e scale arabe sono frutto di un inganno tecnologico.

Sono pochi gli artisti che lavorano con la stessa curvatura tematica e sonora di Fatima Al Qadiri. L’atto del creare musica elettronica, così audace ma al tempo stesso evocativa di un passato distopico, la colloca in prima linea come ambasciatrice di una memoria che non può essere cancellata. Ricordi di morti, sparizioni, distopie e nazioni portacenere, bruciano sotto la superficie piatta di “Medieval Femme”.

(2021, Hyperdub)

01 Medieval Femme
02 A Certain Concubine
03 Sheba
04 Vanity
05 Stolen Kiss Of A Succubus
06 Golden
07 Qasmuna (Dreaming)
08 Malaak
09 Tasakuba
10 Zandaq

IN BREVE: 4/5

Lejla Cassia
Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.