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Franz Ferdinand – Always Ascending

Chi ha avuto l’occasione di vedere in concerto quel fugace progetto che prendeva il nome FFS (Franz Ferdinand + Sparks), qualche annetto fa, quasi sicuramente avrà vissuto quella pressante sensazione di non vedere l’ora che quel “vecchietto – Russel Mael – del gruppo anni ’80” finisse la sua sequela di canzoni strane così da permettere finalmente di sentire i pezzi più attesi dal pubblico, come “This Fire”, “Do You Want To” o “Take Me Out”.

È un cliché della musica rock il desiderare che la band del cuore, durante un live, dia poco spazio all’ultimo disco in favore dei successi del passato, quindi in quell’occasione è stato quasi inevitabile anche per i buoni Franz Ferdinand, nel tour di un album e di un progetto non proprio riuscito e memorabile. Il problema è che ora non c’è più un’altra band cui dare la colpa per un lavoro non all’altezza di una delle pagine più importanti dell’indie anni 2000.

Anzi, più che di un album non all’altezza, qui si può tranquillamente parlare del peggiore della loro ultradecennale carriera, ed è quasi ironico che si intitoli Always Ascending. Il fatto di cronaca principale capitato alla band di Glasgow negli ultimi tempi è l’addio (o forse l’arrivederci, si spera) del chitarrista Nick McCarthy, il quale aveva bisogno di un po’ di tempo per stare dietro alla sua famiglia.

Occorrono solo tre secondi per fare una ricerca su Google e scoprire che era lui il vero traino della band (oltre ovviamente ad Alex Kapranos), perché sono stati scritti da lui (quasi) tutti i pezzi storici dei Franz Ferdinand, quelle bombe dance punk capaci di dar vita a ear-worms che forse non se ne andranno mai dall’orecchio di chiunque abbia sentito anche solo un un riff di “You Could Have It So Much Better” per qualche secondo.

Di quei vermi in “Always Ascending” non compare nemmeno il bozzolo, a causa di una tracklist che si trascina a fatica, tra pezzi che o non dovrebbero neanche esistere in un album di una band simile (Feel The Love sfuma in un assolo di sax come nei peggiori incubi anni ’70!) o che vorrebbero ricalcare, senza successo, i punti forti del passato (The Academy Award ambirebbe a essere la nuova ballad per calare la tensione à la “Eleonor Put Your Boots On”).

Certo, in un modo o nell’altro i piedi si muovono quando compare finalmente un minimo di tiro, nella title track o con la chitarrina selvaggia di Glimpse Of Love, ma non si raggiunge facilmente la sufficienza per un lavoro simile. L’unica speranza è che dal vivo rimangano, anche senza McCarthy, una delle band numero uno al mondo, come hanno sempre dimostrato negli anni. Dando spazio ai successi del passato, magari.

(2018, Domino)

01 Always Ascending
02 Lazy Boy
03 Paper Cages
04 Finally
05 The Academy Award
06 Lois Lane
07 Huck And Jim
08 Glimpse Of Love
09 Feel The Love Go
10 Slow Don’t Kill Me Slow

IN BREVE: 2,5/5