Home RECENSIONI Gary Numan – Splinter (Songs From A Broken Mind)

Gary Numan – Splinter (Songs From A Broken Mind)

splinterEccezion fatta per qualche comparsata in dischi e live dei suoi amici/ammiratori, Gary Numan non ha invero rilasciato alcuna grande prova negli ultimi anni. Le acque si erano mosse con l’interessante e umbratile “Dead Son Rising” del 2011, sbocciato a ridosso di un ventennio che è stato un’altalena di alti (pochi) e bassi (parecchi, anche se mai troppo abissali) che hanno relegato il nome dell’artista londinese ai margini della scena. Eppure rimane un faro per una pletora di musicisti coinvolti nell’industrial, nella new e dark wave, uno degli idoli di Trent Reznor, il che è (quasi) tutto dire.

Sottoscritto incluso, in pochi si sarebbero attesi nel 2013, alla ventesima prova in studio, un album come Splinter (Songs From A Broken Mind), prova d’orgoglio, quasi una resurrezione.

Numan, con Ade Fenton alla produzione e Robin Finck dei Nine Inch Nails alla chitarra in quattro brani, svela dodici canzoni di elevata qualità in cui chitarre filtrate si agitano nel sottobosco, il drum programming sostiene le stratificate architetture sintetiche e le melodie vocali sono ispirate e affascinanti.

Il clima generale è notturno e sinistro, tenebre che ricordano un po’ i Tweaker di “2 a.m. Wakeup Call” e, quasi un corollario, i Nine Inch Nails del recente “Hesitation Marks”.

L’ingresso è ruggente, I Am Dust infiamma subito l’atmosfera con sferzanti scariche cibernetiche. Here In The Black ha invece il refrain più epico del disco, forse uno dei migliori in assoluto della carriera di Numan, un contraltare luminoso all’asfissiante spoken dei versi. È poi un continuo andirivieni di chiari e scuri tra il malinconico surrealismo di The Calling e la gelida e meccanica Everything Comes Down To This, la rievocazione Eighties con cassa continua del (bel) singolo Love Hurt Bleed e le sofferte rarefazioni di Lost, gli albeggiamenti della title-track e la sontuosa We’re The Unforgiven, quasi un omaggio al Bowie narcotico degli anni Novanta.

Sebbene in tanti nel pubblico lo ricordino per aver estratto dal cilindro quel gioiello che si chiama “Cars”, Gary Numan vuole dimostrare a 55 anni suonati di non essere un artista capace solo di un brano memorabile e di tanti lavori adagiati sulla sufficienza. Riemerge dall’oblio con un grande disco percorso da una tensione costante, intriso di parole dolenti, glaciale nel suo carapace industrial eppure costantemente riscaldato dal tepore umano. Inatteso e insperato il ritorno di questa vecchia volpe.

(2013, Machine Music)

01 I Am Dust
02 Here In The Black
03 Everything Comes Down To This
04 The Calling
05 Splinter
06 Lost
07 Love Hurt Bleed
08 A Shadow Falls On Me
09 Where I Can Never Be
10 We’re The Unforgiven
11 Who Are You
12 My Last Day