Home RECENSIONI Gaz Coombes – Turn The Car Around

Gaz Coombes – Turn The Car Around

Data la recente reunion, culminata nella pubblicazione del doppio “Live On Other Planets” (2020), e l’ancora più recente apparizione al tributo per l’amico e fan Taylor Hawkins, sembrava che potesse essere nell’aria un album in studio per i Supergrass, dato che manca da “Diamond Hoo Ha” del 2008. E invece Coombes ha annunciato che la band torna in naftalina, mentre lui ritorna alla carriera solista; e lo stesso ha fatto il batterista Danny Goffey, il cui “Bryan Moone’s Discopunk” è in uscita a fine Febbraio. Fortunatamente i cuori infranti da questa duplice notizia possono essere ricomposti e incollati come nel kintsugi, l’arte giapponese di riparare le ceramiche rotte con l’oro, già al primo ascolto di Turn The Car Around, il quarto album solista del cantante e chitarrista di Oxford.

L’album è un piccolo gioiello di pop psichedelico, nel quale Coombes tira fuori il miglior set di canzoni della sua carriera solista, ma probabilmente il miglior set di canzoni della carriera dai tempi di “Supergrass” (1999), col quale condivide un’atmosfera notturna, intrisa di una peculiare malinconia; e non è una coincidenza che, durante il tributo citato a Hawkins, i Supergrass si siano cimentati in una bellissima cover della “Modern Love” di Bowie, perché quell’aura bowiana, quegli occasionali accordi che compaiono improvvisamente nella canzone spiazzando l’ascoltatore ma allo stesso tempo sembrano stranamente al posto giusto, come se non esistesse altra soluzione al mondo.

E la feroce psichedelia blues di Feel Loop (Lizard Dream) ricorda i migliori exploit degli Starlight Mints (andatevi a ripescare il piccolo, largamente ignorato capolavoro del 2000 “The Dream That Stuff Was Made Of”). A volte poco chitarristico nei suoi momenti migliori (come l’apripista Overnight Trains o la tragica e parzialmente fittizia storia di un pugile inglese, Sonny The Strong, nelle quali domina il piano), riesce a combinare, liricamente, stranezze e dolcezze familiari – è quest’ultimo il caso delle due bellissime Not The Only Things e Long Live The Strange, che si riallaccia al tema di “Strange Ones” su “I Should Coco” (1995), l’esordio della sua band. Notturno e intrigante, l’album riesce a scaldare il cuore come il miglior pop dovrebbe fare.

— 2023 | Hot Fruit/Virgin —

IN BREVE: 4,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.