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Janelle Monáe – Dirty Computer

Per Janelle Monáe un Dirty Computer è chiunque abbia il coraggio di seguire il proprio percorso da individualista senza sentire la pressione di dover sottostare a determinate regole imposte dalla società. Chiunque faccia parte di una minoranza e sia in grado di capire il proprio valore, vivendo con un forte senso di appartenenza ed essendone grato (afroamericani, LGBT, nerd…). Quindi la domanda è: come puliamo un “Dirty Computer”? Queste imperfezioni, non sono né bug né virus che devono essere rimossi, sono piccoli elementi fondamentali per dar forma alla persona che siamo ora e che non devono essere modificati. La stessa Monáe è sempre stata vista nell’industria come una “nerd” e “diversa”, famosa per nascondere il suo fisico sotto a un tuxedo, considerata troppo mascolina per essere una cantante (“Remember when they used to say I look too mannish / Black girl magic, y’all can’t stand it”), l’eleganza di questa uniforme voleva rendere omaggio ai tanti sacrifici dei genitori lavoratori (“Momma was a G, she was cleanin’ hotels / Poppa was a driver, I was workin’ retail”, da Django Jane).

Sempre parlando di minoranze, l’album è un grande supporto alla comunità LGBT. Come ha più volte dichiarato la stessa Janelle, è un inno alla libertà sessuale, visto che lei stessa si definisce “queer” o pansessuale, non sentendo l’esigenza di dover appartenere a una certa categoria sessuale. Il sesso è affrontato molto direttamente, come mai aveva fatto prima, senza lasciare spazio a fraintendimenti, vedi Screwed in cui insieme a Zoë Kravitz canta: “See, if everything is sex / Except sex, which is power / You know power is just sex / You screw me and I’ll screw you too”. Oppure la schiettezza di I Got The Juice e ancor più di Pynk, il cui visual è una celebrazione della donna e del sesso visto dal suo punto di vista.

“Dirty Computer” è da considerarsi una rinascita per Janelle, perché è il primo album in cui riesce a mettere su carta il forte attivismo che ha intrapreso in questi ultimi anni, un lavoro che ha visto diverse pause durante la realizzazione per la partecipazione a due film, “Moonlight” (Oscar nel 2016) e “Hidden Figures” (plurinominato a Oscar e Golden Globes nel 2017), che bene rappresentano quanto si sia messa in prima fila per combattere i diritti degli afroamericani e di uguaglianza (“Until women can get equal pay for equal work / This is not my America / Until same gender loving people can be who they are / This is not my America / Until black people can come home from a police stop / Without being shot in the head / This is not my America / Until poor whites can get a shot at being successful / This is not my America”, da Americans).

Non c’è da stupirsi che Prince abbia ritrovato in Janelle Monáe la sua musa, tanto da averla accanto a sé nell’ultimo periodo della sua vita: il pop della Monáe, con qualche intervallo di rap della stessa, è una dichiarazione di indipendenza in quanto donna, afroamericana, sessualmente libera che, allo stesso modo di “A Seat At The Table” (2016) di Solange, celebra con vanto l’appartenenza d una niche, sperando di essere un esempio per chi quotidianamente combatte le ingiustizie perpetrate e che si rende conto troppo tardi della fortuna di essere diverso.

(2018, Bad Boy / Atlantic)

01 Dirty Computer (feat. Brian Wilson)
02 Crazy, Classic, Life
03 Take A Byte
04 Jane’s Dream
05 Screwed (feat. Zoë Kravitz)
06 Django Jane
07 Pynk (feat. Grimes)
08 Make Me Feel
09 I Got The Juice (feat. Pharrell Williams)
10 I Like That
11 Stevie’s Dream
12 Don’t Judge Me
13 So Afraid
14 Americans

IN BREVE: 4/5

Consulente ed ingegnere, ma prima ancora “music addicted”. Da sempre con sottofondo musicale a far da colonna sonora della mia vita.