Home RECENSIONI Korn – Korn III: Remember Who You Are

Korn – Korn III: Remember Who You Are

Spogli da ogni inibizione o da un qualsivoglia senso di vergogna per la misera condizione in cui versano da cinque anni pieni, i Korn paiono non porsi il problema di uno scioglimento che sarebbe assolutamente salutare. Per tutti, per noi e per loro. Al pari del repellente “Unplugged”, peripezia dal raro cattivo gusto estetico edita tre anni fa, l’approdo dei tre (più il batterista-turnista Ray Luzier arruolato in pianta stabile) esangui superstiti di Bakersville presso Roadrunner Records, segna il tracollo definitivo di una band collassata su se stessa ed incapace di rimettersi in sesto, sia per un progressivo sgretolamento del nucleo della formazione, sia perché fisiologicamente sono più unici che rari i casi in cui un gruppo mantiene alta e costante la propria ispirazione dopo oltre tre lustri di attività. Ma se “Untitled” del 2007 non era bello, ma neanche così orrendo, questo Korn III: Remember Who You Are, oltre ad avere un titolo tra la battuta che non fa ridere e la crisi d’identità, puzza di pesce pescato cinque giorni fa e dimenticato fuori dal frigo sotto il sole infernale delle tre del pomeriggio a ferragosto. L’inglorioso tentativo di ripescare le sonorità di un tempo irrimediabilmente andato (e non è un caso che sia stato richiamato Ross Robinson a produrre) qui assume tinte ridicole. Munky non azzecca un riff che sia uno, non gli riesce neanche la più elementare operazione di riciclo tipica di chi non ha idea di cosa scrivere sullo spartito. Jonathan Davis vorrebbe farci credere che per lui l’orologio biologico si è fermato al biennio ’94-’96 quando sussurra tra i denti nei break dell’improponibile Pop A Pill e dell’altrettanto improponibile Are You Ready To Live?. Il suddetto Davis lo sentiamo qui alle prese con la prestazione peggiore di tutta la sua carriera: vorremmo sapere cos’è quella poltiglia di nulla vocale che ingarbuglia nella parte più “feroce” (virgolette gravide d’ironia) di Lead The Parade. E quella “follia” (l’uso delle virgolette è lo stesso di prima) nelle risate da clown-da-luna-park-che-vorrebbe-farcela-fare-nelle-brache di Never Around, sappiamo benissimo che è falsa dalla testa ai piedi. In onore al nostro spirito umanitario e misericordioso vi diciamo che le cose migliori di questa sagra del non-sappiamo-nemmeno-noi-cosa sono le distensioni melodiche di Move On e The Past e, per una buona metà, Oildale (Leave Me Alone), ovvero esercizi da terza elementare, ma anche le cose potabili con rischi minimi per la salute. Non confidavamo in nulla di buono, e chi si attendeva miracoli dimostra di avere scarsa aderenza con la realtà, ma restiamo ugualmente interdetti di fronte a così tanta pochezza. I Korn non si erano mai spinti tanto in basso prima di adesso, hanno raschiato così tanto il barile che ora, attraverso il buco che hanno creato, sono caduti sotto con un tonfo sordo. Un dischetto da mestieranti che non sanno più svolgere il proprio mestiere.

(2010, Roadrunner)

01 Uber Time
02 Oildale (Leave Me Alone)
03 Pop A Pill
04 Fear Is A Place To Live
05 Move On
06 Lead The Parade
07 Let The Guilt
08 The Past
09 Never Around
10 Are You Ready To Live?
11 Holding All These Lies

A cura di Marco Giarratana