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Miles Mosley – Uprising

La West Coast Get Down sta cominciando ad avere un impatto serio sulla musica Americana, e di conseguenza su quella mondiale. Che diavolo è la West Coast Get Down, potrebbero chiedersi in molti? È un gruppo di ragazzi che probabilmente conoscete già, perché sono ovunque – essendo musicisti assolutamente eccellenti, vengono chiamati come turnisti ovunque serva il top: li trovate nei dischi e tour di Chris Cornell, Alicia Keys, Kendrik Lamar, Snoop Dogg e molti altri ancora.

Ma, a differenza di altri eccellenti turnisti, contenti di rimanere nel loro ruolo di professionisti stipendiati, la WCGD ha deciso di avere i numeri per farcela: la bomba che ha fatto esplodere tutto è stata “The Epic”, successo planetario di Kamasi Washington – fondatore, come Mosley, della band – che ha riportato il jazz sulla mappa, complice anche il capolavoro assoluto “To Pimp A Butterfly” di Kendrik Lamar, del quale la band è stata parte integrante e sostanziale. Kamasi, Mosley e il resto della band (Brandon Coleman, Cameron Graves, Tony Austin, Ryan Porter), hanno registrato nelle session di “The Epic”, avvenute nell’ormai lontano 2012, qualcosa come 170 pezzi, uno straordinario overflow creativo che sfocia negli album solisti di ognuno dei membri fondatori.

Ergo, e arriviamo al punto, ecco il round three di questo overflow (il secondo è arrivato l’anno scorso con “Planetary Prince” del pianista Cameron Graves), il qui presente Uprising del contrabbassista Miles Mosley. Miles non si è lanciato in un disco jazz, ha qualcosa di diverso da dire. Suona il contrabbasso con l’archetto e il wah wah e si lancia in assoli hendrixiani troppo spesso per fare il bis a Kamasi, in più è anche un ottimo cantante, ha stile ed estensione.

“Uprising” è un disco di soul, rock e r’n’b tradizionale, rinnovato, come nella tradizione della WCGD, per non suonare come i depressivi album di revival, ma assolutamente nuovo, fresco, originale. Pezzi come L.A. Won’t Bring You Down o Shadow Of Doubt hanno un misto esplosivo di fiati jazz e sensibilità pop rock, mentre è arduo definire Your Only Cover che si muove su un beat hip hop con movenze funky, ma viene arricchita da un’orchestra che raffina l’atmosfera con gli archi – quando entra nel break il wah wah hendrixiano del contrabbasso del nostro diventa più facile dire vaffanculo a ogni definizione e ascoltare.

Il richiamo a Maggot Brain nell’intro di Tuning Out si trasforma in un peana à la Otis Redding nel verso per poi muoversi verso Sam Cooke e Marvin Gaye nel ritornello: diciamo che è un ottimo pezzo per comprendere quest’eccellente album. E, nonostante la finale latineggiante Fire sia quanto di più lontano da Hendrix si possa pensare (è più simile agli Orishas che quasi vent’anni fa occupavano con la forza le frequenze radio) e non sia all’altezza del resto, questo è un album da ascoltare e riascoltare, per ritrovare nel rock quel misto di passione, perizia tecnica e finezza che manca ormai da anni.

(2017, World Galaxy / Alpha Pup)

01 Young Lion
02 Abraham
03 L.A. Won’t Bring You Down
04 More Than This
05 Heartbreaking Efforts Of Others
06 Shadow Of Doubt
07 Reap A Soul
08 Sky High
09 Your Only Cover
10 Tuning Out
11 Fire

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.