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Rammstein – S/T

Riconfermarsi è sempre difficile, specialmente a dieci anni di distanza. Sebbene per alcune forme di arte moderna il tempo non è peculiarità così fondamentale, per la musica e il suo esser legata a trend che difficilmente scavalcano il lustro la necessità di evolversi per rimanere al passo coi tempi è condizione quasi essenziale. Se dovessi individuare una band che, potenzialmente, potrebbe esulare da influenze temporali (o di tendenza) con molta probabilità azzarderei i Rammstein, per svariate ragioni.

Innanzitutto l’ensemble di Berlino è uno dei pochissimi esempi, in ambito metallico o presunto tale, di band che è riuscita a raggiungere un’esposizione globale nonostante il cantato in lingua madre, con un saltuario utilizzo di differenti idiomi e su brani che lo necessitavano di diritto (“Amerika”, “Te Quiero Puta!”). In secondo luogo il loro “tanz” metal, di chiara matrice industrial, è esempio musicale più unico che raro e comprensibilmente potrebbe dribblare qualsiasi riflessione relativa a suoni meno esclusivi. Infine, aggiungendo il fatto che per molti aspetti sono la più incredibile live band esistente, è comprensibile che ai Rammstein si possa concedere un periodo di hiatus discografico, non fosse solo che già il precedente “Liebe ist für alle da” (2009) fece storcere il naso a molti fan di vecchio corso per un generalizzato indebolimento del sound.

Rammstein (in realtà il lavoro non ha un titolo ufficiale), attesissima settima fatica dei nostri, conferma in parte i timori della vigilia e altri purtroppo ne crea man mano che si procede nell’ascolto delle undici tracce che lo compongono. Se da una parte alcune tracce come l’opener Deutschland e la seppur discreta Weit Weg rappresentano un classico approccio discografico Rammstein (un po’ scontato forse?), la successiva Radio può essere facilmente identificata come espressione completa di quello che questo omonimo album è. Tra una ritmica che pesca ispirazione dai primi due magistrali “Herzeleid” (1995) e “Sehnsucht” (1997) e tastiere decisamente più moderne, il brano è in fondo una rivisitazione pop di quello che è stato e che mai più sarà, risultando nel complesso né carne né pesce.

Non mancano i momenti di spessore, Diamant e Puppe sono gran prestazioni interpretative di un Lindemann per cui gli anni sembrano non passare mai, e Tattoo è per chi scrive l’apice di tutto il lavoro con un riff 100% à la “Herzeleid” e un chorus azzeccato; ma in fondo sono molto più comuni i momenti evitabili come l’oscena Ausländer (davvero ridicola sia nelle lyrics che negli arrangiamenti), la debole Sex e la controversa Was Ich Liebe, già criticata per la campionatura iniziale esplicitamente identica a quella di “Closer” dei Nine Inch Nails.

La sfida con il passare del tempo è stata dunque persa senza possibilità di appello. Certo, rimane un sound autentico e inimitabile ma che purtroppo anche dopo svariati ascolti non produce hit degne del nome o comunque nulla che possa anche in sede live ottenere quella rilevanza da tramandare ai posteri. Ciò non toglie che questo “Rammstein” sarà (come sempre) un campione di vendite ma è lecito pensare che, per chi non si accontenta di poca sostanza, sia giusto e comprensibile reclamare molto di più.

(2019, Vertigo / Capitol)

01 Deutschland
02 Radio
03 Zeig Dich
04 Ausländer
05 Sex
06 Puppe
07 Was Iich Liebe
08 Diamant
09 Weit Weg
10 Tattoo
11 Hallomann

IN BREVE: 2/5

Da sempre convinto che sia il metallo fuso a scorrere nelle sue vene, vive la sua esistenza tra ufficio, videogames, motociclette e occhiali da sole. Piemontese convinto, ama la sua barba più di se stesso. Motto: la vita è troppo breve per ascoltare brutta musica.