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Sean Ono Lennon – Asterisms

Negli Stati Uniti hanno preso a chiamare personaggi come Sean Ono Lennon “nepo babies”, ossia “figli del nepotismo”, che non ha molto senso grammaticalmente ma è evidentemente un fenomeno estremamente pervasivo nel mondo dello spettacolo e artistico statunitense. Fiumi di articoli (Washington Post, The Guardian, New York Times, Forbes e tanti altri) per scoprire un’incredibile verità: in un mondo nel quale i contatti e la reputazione servono assai più che saper recitare o scrivere una canzone, gente che i contatti li ha da quando era in culla è più avvantaggiata di chi, ad esempio come me, il contatto più importante che ha nel mondo dello spettacolo è aver preso da giovane lo stesso autobus per andare al mare che prendeva quello coi sopracciglioni che indovinava le partite da pochi secondi di telecronaca a “Scommettiamo Che…?”. Più volte eh, ma evidentemente non ha aiutato molto.

Che Sean Ono Lennon faccia parte del lotto appare abbastanza scontato: a nove anni ha ricevuto come regalo di compleanno uno dei primi Macintosh direttamente da Steve Jobs (c’è una foto del compleanno in cui Jobs insegna al giovane Lennon come usarlo, mentre Andy Warhol, Kenny Scharf e Keith Haring osservano), il suo padrino è Elton John e a sedici anni ha scritto una canzone poi finita in “Mama Said”, disco multimilionario di Lenny Kravitz del 1991; non farò menzione del nome dei suoi genitori onde non insultare la vostra intelligenza, anche perché a guardarlo oggi in faccia e non capire per lo meno il genitore 1 significa dover cercare attenzione medica.

A differenza di alcuni tra questi “nepo babies”, Sean Ono Lennon non ha sfruttato i suoi cognomi per ottenere una magnum di Cristal nel privé di un club in stile AJ Soprano, né per ritagliarsi un ruolo banale nell’industria tanto per farsi invitare ai red carpet ma ha, negli anni, prodotto un output di ragguardevole qualità: dal suo periodo con le Cibo Matto (ritroveremo qui in Asterisms, come nel suo esordio nel 1998 “Into The Sun”, la ex partner nella band – e per un periodo anche nella vita – Yuka Honda) ai Ghost Of A Sabre Tooth Tiger con l’attuale partner Charlotte Kemp Muhl fino agli eccellenti album dei The Claypool Lennon Delirium insieme a Les Claypool, niente nella carriera del ragazzo Lennon ormai quarantottenne fa pensare a un viziato figlio di puttana (salvando la madre) il cui privilegio lo ha portato a usurpare il posto legittimo che spetterebbe ad artisti di maggiore talento. Anzi, in verità vi dico, spesso quando ascolto della merda in radio penso “ma quanto sarebbe meglio se passassero qualcosa di Sean Lennon?”.

Naturalmente è assai improbabile che qualche pezzo da “Asterisms”, primo lavoro solista di Lennon dal 2006, possa sostituire l’amabile “Is It Over Now” di Taylor Swift o la sempre gradevole “Due Altalene” di quello straordinario concentrato di poesia di Mr. Rain, non foss’altro perché i brani sono strumentali fusion di durata superiore ai sei minuti in media, pensati per una residency al The Stone, venue newyorkese di proprietà di John Zorn e potrebbero, dico potrebbero, mancare di quella vena pop amadeus-sanremese che domina l’airplay odierno.

“Asterims”, il cui titolo è un riferimento alla “fede” nelle costellazioni della madre oggi novantenne, e che quindi vuole simbolizzare in parte il legame con lei, si avventura in territori eterogenei riconducibili spesso a quello che veniva chiamato un tempo cosmic rock (esiste ancora?). lambendo spesso le geniali contaminazioni tra rock, jazz e prog del Miles Davis di “Bitches Brew”. Il viaggio inizia con un brano (Starwater) la cui affinità con l’ultimo, eccellente album dei The Claypool Lennon Delirium disvela quanta influenza abbia nel duo l’artista nippoamericano, e non cala di qualità neanche per un misero secondo dei trentasette minuti di durata del long playing. La title track, poi, risente fortemente (non sappiamo quanto volontariamente) dell’influenza del jazz moderno ed infuso di strumentisti rock di Kamasi Washington.

“Asterisms” è un album eccellente, lontano per genere dal mainstream, ma con aperture straordinarie di intelligenza melodica che ne fanno un ascolto per nulla noioso, che diventa goduria totale se avete affinità astrale con la psichedelia. Se è vero che Lennon è nato col cucchiaino d’argento in bocca, è altrettanto vero che la modestia, l’intelligenza e la qualità di ciò che pubblica dovrebbero essere d’esempio per qualunque artista di questo genere meraviglioso e agonizzante che è il rock.

2024 | Tzadik

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.