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Suede – Autofiction

Quante band, enormemente popolari negli anni90, sono state abili a evitare l’imbarazzante traghettata verso la nostalgia o, peggio ancora, la totale inconcludenza? Poche, ça va sans dire. Ai Suede, ad esempio, deve riconoscersi il grande pregio nell’aver fatto più che scansare la caricatura di loro stessi. Dal 2010 ad oggi, infatti, si sono reinventati mantenendo salda le fede nella loro estetica androgina e un livello creativo molto, molto alto. La triade composta da “Bloodsport” (2013), “Night Thoughts” (2016) e “The Blue Hour” (2018) è stata contraddistinta da una forte componente mortifera, sonorità desolate e una particolare attenzione nel ricreare paesaggi sonori notturni.

Autofiction invece si avvicina moltissimo alle atmosfere degli esordi, ma il risultato è un album più elegante che punk, come invece sottolineato da Brett Anderson nel comunicato stampa e nelle interviste promozionali che ne hanno anticipato l’uscita. È un’opera che alterna tre anime perfettamente coesistenti e mai in contrasto tra loro: la prima, post punk più che punk, si fa strada in Personality Disorder (con un retrogusto di “Fontaines D.C.”), Black Ice (intorpidita e disperata), Shadow Self (condita da una punta di metal diamantato); la seconda, cupa e appassionata in What Am I Without You? e Drive Myself Home, che decelerano drasticamente il tempo dell’album.

Infine, la terza, l’anima narrativa dell’album perfettamente riassunta nei tre singoli che ne hanno preceduto l’uscita: She Leads Me On scorre su un dubbio binario, a cavallo tra il ricordo della madre di Anderson, morta molto prima di poter anche solo immaginare dove sarebbe arrivato Brett, e la storia di Chris e Hanna, le protagoniste del cortometraggio diretto da Katie Lambert, 15 Again, un’euforia agrodolce con uno spiccato accento gotico, infine That Boy On The Stage, un muscolo stretto in un giro di filo spinato.

“Autofiction” è un disco drammaticamente sensuale; le parole, il suono, la produzione, la performance sono talmente grezze da poter scaturire solo da un gruppo adulto e affrancato dalle infrastrutture del marketing musicale. Anderson non aveva alcuna intenzione di scrivere un album fingendo di avere l’attitudine di un ventenne, voleva qualcosa che fosse un’istantanea di loro cinque insieme adesso, a cinquant’anni. Un’immagine reale, in cui ogni tanto sei in alto, altre volte scivoli nella merda. Impazienza e tenacia. Questo è “Autofiction”.

(2022, BMG)

01 She Still Leads Me On
02 Personality Disorder
03 15 Again
04 The Only Way I Can Love You
05 That Boy On The Stage
06 Drive Myself Home
07 Black Ice
08 Shadow Self
09 It’s Always The Quiet Ones
10 What Am I Without You?
11 Turn Off Your Brain And Yell

IN BREVE: 4/5

Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.