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Teleman – Good Time/Hard Time

Commentare a ritroso nel tempo il nuovo disco dei Teleman, Good Time/Hard Time, partendo dalla storia della band (e dei componenti), di sicuro non è noioso: i Teleman infatti una volta erano tutti membri (eccetto il batterista nipponico Hiro Amamiya) dei Pete and The Pirates, band indie rock inglese che disse la sua nel periodo durante il quale si faceva piena indigestione di questo genere (gli anni di MySpace, per intenderci). Trasformatisi poi in Teleman, hanno radicalmente mutato la loro offerta musicale, con un alt-pop indubbiamente raffinato che li ha fatti arrivare fin qui, al quarto album della loro discografia.

Facciamo una premessa: non è facilissimo dare un voto complessivo, perché il disco parte in modo straordinario, per poi perdersi parecchio. L’iniziale Short Life è un singolone fulminante, che rimane in testa, tutt’altro che banale. Pure la successiva Trees Grow High riesce benone, rappresentando probabilmente un pezzo che i Phoenix odierni vorrebbero scrivere. Con Wonderful Times i Teleman ripercorrono (molto brillantemente, va detto) le praterie indie rock proprie della loro precedente carriera, ma con arrangiamenti raffinati che fanno capolino anche nella successiva, ottima Easy Now I’ve Got You, dove la band ci ricorda un’altra formazione francese, e che formazione: gli Air.

Poi, come detto, un calo netto, dovuto probabilmente al posizionamento molto ruffiano dei pezzi migliori ad inizio setlist (che risulta essere una scelta poco equilibrata in un supporto fisico, ma molto funzionale per Spotify e affini): Cherish ricorda i Phoenix, ma stavolta quelli peggiori, Hello Everybody è un mero esercizio di stile, mentre I Can Do It For You con il suo riff à la INXS va un filo meglio, ma di sicuro non sfonda.

The Juice ha il sapore della b-side poco ispirata, con il disco che si trascina a questo punto stancamente verso la fine con la super estiva (e lenta) The Girls Who Came To Stay, il classico pezzo tutto sommato piacevole che ascolti alle quattro del mattino quando attorno a te stanno smontando tutto: quintali di atmosfere chillout che si ritrovano in parte anche nella finale e noiosa title track. Il giudizio finale però non può essere che positivo: meglio un disco con picchi notevoli e momenti negativi, o un costante, sufficiente piattume? Noi, a riguardo, non abbiamo dubbi.

— 2023 | Moshi Moshi —

IN BREVE: 3/5

Una malattia cronica chiamata britpop lo affligge dal lontano 1994 e non vuole guarire. Bassista fallito, ma per suonare da headliner a Glastonbury c'è tempo. Già farmacista, ha messo su la sua piccola impresa turistica. Scrive per Il Cibicida dal 2009.