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The Reds, Pinks And Purples – The Past Is A Garden I Never Fed

Glenn Donaldson è uno di quei personaggi che non cercano riflettori, ma che con il loro passo silenzioso finiscono col lasciarli accesi per ore, sul palco vuoto. The Past Is A Garden I Never Fed, pubblicato il 4 Luglio per Fire Records, è il nuovo atto, o forse sarebbe meglio dire, il nuovo capitolo di un romanzo sommesso, dei The Reds, Pinks And Purples, la creatura cantautorale più sottovalutata e disarmante degli ultimi anni. Donaldson non fa rumore, ma sa suonare il punk rock. E lo dice pure, candidamente, in una delle tracce più intense del disco: I Only Ever Wanted To See You Fail. Una canzone che parte con l’irruenza sbarazzina degli Eddie And The Hot Rods e si trasforma in una confessione scorticata, con tanto di autocritica e sarcasmo affettuoso. È quella linea sottile, quasi impercettibile, che divide l’ironia dal dolore sincero, lo chiamiamo “pathos” quando non vogliamo piangere troppo apertamente.

I titoli dei brani sembrano echi di conversazioni sentite al bancone di un bar di quartiere, scritti con la penna di un fan disilluso di Douglas Coupland: Slow Torture Of An Hourly Wage, No One Absolves Us In The End, The World Doesn’t Need Another Band. Quest’ultima è una piccola gemma. C’è una calma rabbiosa lì dentro, una stanchezza lucida verso la mediocrità che avanza. Ma anche una pausa di chitarra che è un piccolo miracolo lo-fi, come un raggio di sole sulla carta da parati scrostata. Musicalmente, il disco è una mappa affettiva. Glenn cammina tra le rovine sonore dei Television Personalities e la malinconia jangle dei Byrds, ma passa anche per l’orgoglio sfilacciato degli Hüsker Dü, con una tenerezza che ricorda la retorica affettiva di Jarvis Cocker.

A Figure On The Stairs è una ballata in chiaroscuro, in cui la voce di Donaldson sembra emergere da un sogno interrotto. La chitarra disegna figure circolari, ipnotiche, mentre il tappeto sonoro minimale lascia spazio a un crescendo emotivo che non esplode mai davvero, resta lì, sospeso tra desiderio e rassegnazione. Il brano incarna perfettamente l’essenza del disco: l’arte del non detto, della presenza discreta. E poi c’è Glenn, sempre lui, che racconta le sue vite precedenti, dal primo lavoro a quattordici anni fino al grande salto nell’incertezza della musica a tempo pieno. In Slow Torture Of An Hourly Wage c’è tutto: la frustrazione quotidiana, il sogno lucido e il blues moderno, come lo chiama lui. Toxic Friend, omaggio implicito a Daniel Treacey (fondatore dei Television Personalities, che lottò con problemi di salute mentale e tossicodipendenza), suona come una cassetta dimenticata dietro a un vecchio stereo, tirata fuori per caso e riascoltata con un sorriso dolceamaro. È indie pop vecchia scuola, ma con dentro quella logica fuzzy che ti fa venire voglia di tornare in cameretta a scrivere testi sui tuoi nemici del liceo.

Più diretto e tagliente, What’s The Worst Thing You Heard? mostra il lato più ironico e affilato del songwriting di Donaldson. Le chitarre si muovono su un terreno che ricorda i primi Magnetic Fields, ma con una vena punk trattenuta, quasi passiva-aggressiva. La melodia si apre su un ritornello che non urla, ma che lascia il segno: una sorta di anti-hook, che si insinua nella memoria per sottrazione. Richard In The Age Of The Corporation potrebbe essere l’inno post tutto di una generazione che ha smesso di credere nel posto fisso e ha imparato a convivere con il fallimento come con un coinquilino molesto. E in No One Absolves Us In The End, c’è la resa agnostica, quasi mistica, all’idea che nessuno ci salverà, ma va bene così, perché ci resta la musica. E quella, se fatta bene, è più che sufficiente. There Must Be A Pill For This è il pezzo forse il più emblematico dell’approccio di Donaldson: arrangiamento scarno, batteria elettronica discreta e un testo che alterna autoironia e vulnerabilità. Sembra registrato in una stanza con le finestre aperte, in un pomeriggio qualsiasi, e proprio per questo suona così autentico. Il titolo è già una canzone: una rassegnazione dolce, quasi terapeutica.

Glenn Donaldson ha scritto più di duecento canzoni e pubblicato otto album in sei anni. Ma ciò che fa davvero impressione non è la quantità, bensì la coerenza con cui continua a scavare nei suoi giardini interiori. Non li ha mai nutriti, ci dice. Ma in realtà, forse, li ha solo coltivati in segreto per noi. “The Past Is A Garden I Never Fed” non è un disco che urla. Ma ha dentro tutto quello che la musica dovrebbe ancora saper fare: sussurrare verità scomode mentre ti tiene compagnia.

2025 | Fire

IN BREVE: 4/5

Cinzia Milite
Classe '64. Nella vita faccio un sacco di cose rispettabili: pubblico libri per adulti e bambini, gestisco un blog letterario e faccio finta di sapere sempre dove sto andando. Eddie Vedder è mio fratello d’anima. Se fossi un animale, sarei un cane che dorme. Do Not Disturb.