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Tomahawk – Tonic Immobility

Nonostante Mike Patton sia ormai certamente considerato come una leggenda del rock, non sembra mai esserci una quantità di attenzione esagerata per i Tomahawk. Di più: vengono spesso definiti una band “sperimentale” ma, scorrendo la discografia del prolifico frontman, è abbastanza semplice vederli come uno degli outfit più “convenzionali” di Patton e, dopo vent’anni di carriera per uno dei cosiddetti “supergruppi”, possiamo anzi dire che siano una delle poche certezze rimaste nel decaduto mondo del rock. 

E, se questo prolungato periodo di stasi forzata e involontaria (la Tonic Immobility del titolo, uno stato di quasi-morte apparente involontario dettato da una forte paura) ha portato qualcosa di buono è stato che Patton ha dovuto obbligatoriamente fermarsi dalla miriade di impegni che lo portano costantemente in giro (l’ultimo, in ordine di tempo, sarebbe stato il tour dei riformati Mr. Bungle) e ha finalmente potuto completare il quinto album dei Tomahawk, la cui musica, interamente scritta dal chitarrista Duane Denison (ex Jesus Lizard), era già pronta da quasi quattro anni, che poi sarebbero più di otto dal precedente e ottimo “Oddfellows” (2013). 

I quattro Tomahawk anche presi singolarmente sono sempre stati una garanzia di qualità (oltre ai citati Denison e Patton, responsabili rispettivamente di musiche e testi, troviamo Trevor Dunn dei Mr. Bungle al basso e John Stanier, di Helmet e Battles, alle pelli), quindi non dovrebbe sorprendere che, ancora una volta, il supergruppo americano produca un album di rara concretezza e qualità, soprattutto considerata la inusuale longevità della band, ancor più inusuale se consideriamo che i quattro vivono lontani e spesso, come già detto, non mancano di impegni. 

Al ventesimo anno insieme non mancano riferimenti al passato, a partire dalla tipologia di materiale offerto: la feroce aggressività degli esordi domina e dà modo a Patton di scaricare la sua furia; sentendo le parole del chitarrista non è neanche una coincidenza che il riff dell’introduttiva SHHH! ricordi molto da vicino l’apripista del primo album della loro carriera (“Flashback”, su “Tomahawk” del 2001); né mancano momenti più atmosferici o persino sperimentali come Eureka. Denison è in una forma stellare che a tratti ricorda i suoi migliori momenti nei Lizard: sia nel frenetico riff di Predators And Scavengers che nella lenta, minacciosa Doomsday Fatigue – tra i migliori pezzi dell’album – il chitarrista dà prova di grandissima forma. 

Patton, che generalmente è solito arricchire il materiale con campionamenti, stavolta lascia respirare la musica e, complice anche l’eccellente produzione di Paul Allen e il missaggio di Mark Lonsway, il risultato è un suono straordinario, ad un tempo equilibrato e potente, a tratti addirittura radiofonico. Se i singoli scelti puntano sull’aggressività (Business CasualDog Eat DogPredators And Scavengers), è il lato più atmosferico che qui risulta essere il meglio dell’album: oltre alla citata Doomsday Fatigue, il pezzo migliore è forse la ballata Sidewinder, arricchita da un pianoforte e che sfoggia un Patton che avevamo visto così melodico già nella collezione di ballate pop italiane “Mondo Cane” (2010), che nel ritornello però si trasforma in una bestia feroce non dissimile dal fenomenale cantante dei citati Lizard, David Yow, per poi recitare il secondo verso come fosse un attore a teatro. Va citata anche la eccellente Recoil, decisamente il pezzo più radiofonico della loro lunga carriera, nel quale fanno ancora la parte da leone gli straordinari arrangiamenti di Denison.

Quattro musicisti fenomenali – abbiamo citato poco Stanier e Dunn, ma le loro rispettive performance e la struttura ritmica iper-solida che forniscono all’album è anch’essa da dieci e lode –  che, purtroppo per noi, si riuniscono troppe poche volte, pochissime se consideriamo che questo disco è stato completato a distanza. E se è vero che i richiami (voluti) al materiale passato siano abbastanza evidenti, è anche vero che “Tonic Immobility” non manca di freschezza e, anzi, è forse complessivamente il miglior lavoro della band.

(2021, Ipecac)

01 SHHH!
02 Valentine Shine
03 Predators And Scavengers
04 Doomsday Fatigue
05 Business Casual
06 Tattoo Zero
07 Fatback
08 Howlie
09 Eureka
10 Sidewinder
11 Recoil
12 Dog Eat Dog

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.