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Tortoise – Beacons Of Ancestorship

Chi sono i Tortoise? Sono post? Sono jazz? sono rock? Sono dub? Dove diavolo li inseriamo i loro dischi nello scaffale? Accanto a quelli dei Mogwai o a quelli di Frank Zappa? Li mettiamo nella fila dell’elettronica o in quella di un’ipotetica mensola di musica anni ’90? E chi lo sa. E forse anche chissenefrega. Certo è che il nuovo disco del collettivo di Chicago non aiuta affatto. Beacons Of Ancestorship, che arriva a cinque anni dal precedente “It’s All Around You”, infatti è un caotico puzzle nello spazio della musica contemporanea. Disorganico come una pioggia di shangaii. Molti suoni, molta confusione. Ci sono vortici sintetizzati (High class slim came floatin’ in), ci sono strane colonne sonore anni ’80 (Prepare your coffin), c’è l’elettronica jazzata, ovvero suonare strumenti elettronici come fosse un complesso jazz (Northern something), ci sono suoni orientali insistentemente percussivi (Gigantes), ci sono musiche da consolle obsolete (Penumbra), c’è incredibilmente anche un ferocissimo boato hardcore (Yinxianghechengqi) oltre a un classico (?) post-rock computerizzato (Chateroak foundation). Ok, fermiamoci qui che è già abbastanza. Siamo ancora a metà recensione e l’ascoltatore sta volteggiando in un salto nel buio. E chi scrive con lui. Che succede insomma nell’orizzonte del sesto disco dei Tortoise? Succede che l’album è un guazzabuglio di inutilità. E’ esercizio di stile urticante e fastidioso. E’ musica da laboratorio. Le tracce sono provette di dance, techno, elettronica e sound eighties congelate in un frigorifero. E dispiace tremendamente scrivere questo epitaffio dopo che i Nostri hanno realizzato lavori fondamentali nel teorizzare il disfacimento del rock a fine anni ’90. Ma non possiamo proprio trattenerci. Ciò che vuole esser fatto passare per mix di suoni ed inno all’ibrido musicale, quel rivendicare per i Tortoise d’oggi (direttamente dal sito) resistenza a “metafore e analogie” e il vanto di un suono “che assomiglia solo a se stesso e a nessun altro”, ci pare l’intonaco fragile a copertura di una corrodente noia. Un tedio spietato che ci piace figurare come lo zombie del Rock intento a tormentare chi lo ha voluto fare fuori oltre quindici anni fa. Uno spettro dispettoso che rilascia melme vischiose sulle canzoni della band. John McEntire e Doug McCombs sono avvertiti. Gli conviene affidarsi a una seduta spiritica.

(2009, Thrill Jockey)

01 High Class Slim Came Floatin’ In
02 Prepare Your Coffin
03 Northern Something
04 Gigantes
05 Penumbra
06 Yinxianghechengqi
07 The Fall Of Seven Diamonds Plus One
08 Minors
09 Monument Six One Thousand
10 de Chelly
11 Charteroak Foundation

A cura di Riccardo Marra