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Ulan Bator – Dark Times

I nostri giorni infarciti di nero. Polpette avvelenate con cui ci nutriamo quotidianamente. Scorrere di titoli di telegiornale, la voce asettica degli speaker come pugnalate nel cuore. Si apre così Dark Times degli Ulan Bator che riaffiorano dopo sette anni di assenza per raccontare questi giorni così complessi. Il plurale è d’obbligo perché mai come questa volta Amaury Cambuzat torna a una composizione plurale: il riabbraccio col batterista Franck Lantignac, il violoncello di Monia Massa, il basso di Mario Di Battista. Insomma una band vera e propria. E aggiungiamo i fantasmi… quelli non mollano mai la penna di Amaury. “Dark Times”, può sembrare strano, ma è già un caposaldo della discografia di Ulan Bator grazie all’attitudine tutta naturale di farsi disco-manifesto in questo 2025.

A tempi difficili vanno corrisposti dischi difficili o quantomeno disposti a non farsi scivolare il senso del mondo. Parte da questo presupposto un trittico emozionante come L’Impératrice (anche singolo di lancio), Ravages e En Enfer. Canzoni che raccontano la crisi climatica e personale, anzi l’inferno di questa, l’asfissia, la ricerca di libertà e luce. Madre natura ora imperatrice, ora vittima, ora libera di volare. En Enfer poi ha anche un’altra qualità non indifferente: è un diamante brillante. La luce che emana si scontra, a penombra, con l’oscurità del titolo del disco. Le gocce di chitarra acustica scivolano sulla superficie riflettente, l’evocazione mattutina di un sintetizzatore solina d’annata, la voce di Cambuzat sussurrata, il drumming di Lantignac che accelera.

Non vogliamo più confini
Faremo saltare le tue barriere
Gli uccelli sono liberi come l’aria

E se Solitaire e Inspire ci riportano nella parte di più buia di questi tempi, Into Nothing stupisce per il tamburo iniziale e per il ritmo quasi tribale. Dark Times è un disco che arriva col freddo e si ciba di freddo. C’è molto da esplorare tra le sue pieghe e non lascia nulla di intentato come, ad esempio, il finale di Mee (A) Too. Il titolo già dice molto. La canzone, con quella chitarra impolverata, il fruscio incessante, il canto ammaccato, racconta tutto il resto.

2025 | Acid Cobra

IN BREVE: 3,5/5