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Ulan Bator – Tohu-Bohu

Cos’è questo mondo se non un ordigno di confusione? Relazioni posticce, piattaforme virtuali, sesso di cartapesta, vite plagiate, manipolate, sospese, dittature psicologiche, maquillage politico, maschere, caos. E chi meglio di Amaury Cambuzat può raccontarlo? Partiamo da qui per parlare di Tohu-Bohu. Partiamo dal fatto che gli Ulan Bator, a secco da cinque anni, da quando cioè nel dopo “Rodeo Massacre” Amaury subì un terribile black-out emotivo, ricominciano dalle atmosfere che più preferiscono: quelle contorte e complicate, una zona d’ombra popolata dalla follia, eco ripetitiva e maniacale (ricordate “Ego:Echo”?). Dicevamo in apertura della confusione, tohu-bohu in francese significa proprio questo ed è il ciclo solare che si perde nella tenebra. Se infatti “Soleils”, l’ep che aveva aperto le danze l’anno scorso, irradiava pezzi aperti al giorno, agli universi, alla luce, “Tohu” invece eclissa il sole e spegne le luci. I dieci pezzi masticati da Cambuzat e scartavetrati dal nuovo impianto base: James Johnston (Lydia Lunch, Gallon Drunk, ex Bad Seeds), Alessio Gioffredi (batterie e percussione), Stéphane Pigneul (basso) sono ragnatele spesse, elucubrazioni, racconti dark in cui protagonista è l’uomo e il suo impianto di relazioni sempre più fragili. Lo specchio musicale del disco riflette così contorsioni elettriche, nodi senza uno scioglimento, passaggi puntellati di suoni scuri e, alle volte (Missy & The Saviour) anche un piglio art-terroristico alla Faust. Poi certo non può mancare anche una di quelle cavalcate psicotiche che ha fatto della band di Cambuzat la risposta francese allo strumentalismo di fine secolo. In questo disco è la title-track Tohu-Bohu a condurci come un Caronte post-rock nell’inferno di un mondo fatto a pezzetti dalla comunicazione delirante dei social network. Otto minuti di sax sgualcito, drumming malato, rumori, confusione, oscurità: “C’è disordine nella mia testa, del disordine nella testa… il mondo incendiato… l’inizio di un nuovo ordine” s’affanna Amaury nel suo patibolo suggerendoci come “Tohu-Bohu” sia innanzi tutto il suo svuotamento, il suo tentativo di fare pulizia, una catarsi, e come sia il disco più nero degli Ulan Bator perché forse è il momento storico ad imporlo.

(2010, Acid Cobra)

01 Newgame.com
02 Speakerine
03 Regicide
04 R136A1
05 Missy & The Saviour
06 A T
07 Mister Perfect
08 Ding Dingue Dong
09 Tohu-Bohu
10 Donne

A cura di Riccardo Marra