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Whisper Room – Birch White

Al cospetto di Birch White ci si sente come dei naufraghi sbattuti dalle spume e dalle onde di mari psichici di infinita vastità. Liquido ed astrale, fluttuante senza perdere mai contatto col terreno, spirituale senza però disgiungersi dalla carne, la musica dei Whisper Room si sposta tra gli opposti e li coniuga in un’opera di cesura raffinata e di alto valore artistico. E’ inopinabile che Aidan Baker, mente dei grandissimi Nadja, stia diventando a suon di progetti di un certo calibro il padrone indiscusso della scena drone-post-rock che prende i natali dalle derive più sperimentali della musica pesante. In questa nuova avventura lo accompagnano Neil Wiernik dei NAW al basso e al laptop e Jakob Thiesen alla batteria. Il trio canadese trae linfa da scenari immaginifici in cui, sotto la coltre di strati opachi serpeggiano torrenti melodici semplici ma dannatamente penetranti. Dagli archetipi Tangerine Dream hanno appreso la tendenza anti-gravitazionale alla rarefazione, dai Boards Of Canada alcuni tratteggi in puntinismo delle textures, da Brian Eno mutuano la capacità osservativa che permette loro di descrivere l’ambiente circostante con mirabile maestria. Non di rado si sentono rimandi ai Pink Floyd più visionari (“Ummagamma”?) e a Constance Demby in alcuni ricami melodici. Sequenze di istanti visivi accecanti, fotogrammi che si disperdono nell’aria in un batter di ciglia, cristalli luminescenti che brillano in lontananza, sagome ed ombre sbiadite dal tempo e dalla perfettibilità dell’immaginazione, la musica dei Whisper Room sa proiettare nella mente di chi partecipa all’ascolto un nugolo eterogeneo di pulsazioni sensoriali, capaci di instaurare così un processo dialogico nel quale l’ascoltatore esce dal suo (sempre più spesso solito) ruolo passivo e diventa parte in causa nella significazione delle composizioni. Musica con fini comunicativi, proprio così, dote sempre più rara in piena epoca di fast-food auditivo. Ed è questa la cifra artistica che ricerchiamo in ogni opera musicale degna di questo nome, in barba al mefitico sterco che la gran parte del pubblico, disabituata a processi di cernita e di raffinazione del gusto, assorbe quotidianamente da emittenti televisive e radiofoniche consenzienti al regime dell’imposizione del prodotto usa e getta. Whisper Room crea un microcosmo emozionale variegato e gravido di immagini pulsanti ad intermittenza che raggiunge il picco massima di maestria descrittiva con la traccia 7 (le 8 composizioni non hanno titolo, sono semplicemente numerate in sequenza), i cui oltre dodici minuti di durata filano via senza pesare nemmeno un grammo. Dite adesso voi se questa non è pura arte. “Birch White” affonda di fioretto con le sue multiple dimensioni e ci manda in uno spazio insaturo, che solo la nostra voglia di partecipare al viaggio e la nostra sensibilità artistica può saturare. Se non è un capolavoro, ci manca davvero poco.

(2009, Elevation Records)

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A cura di Marco Giarratana