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Ash – Kablammo!

kablammoGiunti al traguardo di una più che rispettabile carriera ventennale, i nordirlandesi Ash sette anni fa avevano mancato la definitiva consacrazione commerciale nonostante due album di eccellente fattura (“Meltdown” e “Twilight Of The Innocents”), che possono essere tranquillamente ascritti come i migliori episodi della loro discografia.

Non è dato sapere se siano state le speranze di successo tradite o altro, ma dopo questi due dischi Tim Wheeler e soci hanno iniziato un percorso che più tortuoso non si può: prima una doppia raccolta di singoli inediti (tante crepe qualitative, ma anche brani epici come ”Arcadia” e ”Joy Kicks Darkness”), poi un mini album di cover, infine il lavoro solista di Wheeler (il buon ”Lost Domain”) che lasciava presagire un ritorno in grande stile degli Ash nel mondo degli album in formato classico.

Sarà stato per tutte queste legittime aspettative, ma Kablammo! – al di là di qualche buon episodio – non convince del tutto, e non potrebbe essere altrimenti visto che chi scrive ha sempre apprezzato il songwriting di Wheeler, capace di ben altre cose rispetto a quelle ascoltate in questo disco. ”Il ragazzo è bravo ma non si applica”, direbbe qualche mia vecchia maestra delle elementari: i presagi erano già cattivi ascoltando Cocoon, singolo troppo breve e semplice nonostante il preannunciato ritorno alle origini.

Purtroppo continuando l’ascolto non va tanto meglio: Let’s Ride e Machinery offrono qualche spunto interessante ma hanno il sapore della roba strasentita, lo stesso discorso può essere fatto per Go! Fight! Win! e Moondust. Va invece meglio con l’introspettiva Free, che rappresenta probabilmente l’unica traccia sufficiente nella prima parte dell’album.

Il piacevole strumentale di Evel Knievel (che scimmiotta brillantemente “Knights Of Cydonia” dei Muse) introduce l’ascoltatore alla seconda metà del disco, dove le cose vanno decisamente meglio. Gran parte del merito va a tre canzoni (Hedonism, Dispatch e Shutdown) che vedono finalmente decollare le melodie di Wheeler, capaci (in questo caso, sì) di emozionare come in passato. For Eternity è troppo sdolcinata ma non è da bocciare, mentre l’interessante synth pop di Bring Back The Summer rappresenta una coraggiosa scelta per la chiusura di un album che inizia male ma termina con un innegabile crescendo di qualità.

A “Kablammo!” mancano dunque una manciata di melodie memorabili come negli altri album degli Ash, ma il peccato originale del disco non sta tanto qui, quanto nella volontà di Tim Wheeler di destrutturare a tutti i costi la musica recente della band, spogliandola della sua componente più matura ed emozionale in cambio di un agognato ritorno alle origini. Ma il prezzo da pagare è stato troppo alto. Ne è valsa davvero la pena, Tim?

(2015, earMUSIC)

01 Cocoon
02 Let’s Ride
03 Machinery
04 Free
05 Go! Fight! Win!
06 Moondust
07 Evel Knievel
08 Hedonism
09 Dispatch
10 Shutdown
11 For Eternity
12 Bring Back The Summer

IN BREVE: 2,5/5

Una malattia cronica chiamata britpop lo affligge dal lontano 1994 e non vuole guarire. Bassista fallito, ma per suonare da headliner a Glastonbury c'è tempo. Già farmacista, ha messo su la sua piccola impresa turistica. Scrive per Il Cibicida dal 2009.