Home EXTRA ANNIVERSARI The Velvet Underground: 55 anni di The Velvet Underground & Nico

The Velvet Underground: 55 anni di The Velvet Underground & Nico

Rivoluzionario fin dalla sua copertina, così come nel sound e nelle liriche, libero, scandaloso, cinico, crudo, omaggiato da innumerevoli tributi, nessuno dei quali lontanamente all’altezza dell’originale, nemmeno il più recente e in parte riuscito “I’ll Be Your Mirror: A Tribute to The Velvet Underground & Nico” (2021), non ha bisogno di troppe presentazioni il debutto della band che, insieme ad un’affascinante e ombrosa cantante tedesca, ha cambiato la storia della musica in maniera radicale, e il cui contesto d’origine, insieme alle vicende del quartetto statunitense nato grazie all’incontro tra John Cale e Lou Reed, è stato raccontato in maniera egregia nel documentario di Todd Haynes, uscito ad ottobre dello scorso anno. A fronte di tutto ciò, in questo suo cinquantacinquesimo anniversario, è sufficiente che a parlare siano soltanto le note e la poetica di quegli undici brani irraggiungibili e nient’altro.

A cullare l’ascoltatore all’inizio del viaggio sono le melodie dell’universale e grandiosa Sunday Morning, traccia anticipatrice di quel filone dalle atmosfere ovattate, trasognate e sussurrate che ben vent’anni dopo prenderà il nome di dream pop e vedrà nei Cocteau Twins i suoi effettivi capostipiti. Dietro al solo apparentemente quieto risveglio da una notte brava, su quella placida domenica mattina si stagliano le ombre pesanti della paranoia e di un’ansia incontrollata, ed è da questo tema che il disco prende le sue mosse, in un’inquietudine crescente che canzone dopo canzone raggiunge il suo apice fino ad uscire definitivamente allo scoperto ed esplodere.

La droga è al centro di molti brani dell’album e sullo sfondo vi è il paesaggio urbano, grigio e decadente della New York degli anni Sessanta, con la ricerca disperata e l’attesa snervante, sottolineata dall’incalzare del piano e delle chitarre, di uno spacciatore per le pericolose strade di Harlem (I’m Waiting For The Man), la corsa in direzione del tossico crocevia di Union Square, accompagnata dai ritmi sostenuti e gli ottimi guitar solo di una tragica ballad che incorpora country, rock and roll e garage (Run Run Run), e le sensazioni alienanti e il rapporto con l’eroina, dove il battito cardiaco del protagonista accelera in crescendo vorticosi per poi crollare e quietarsi, insieme alle percussioni di matrice primitivista e alle increspature stridenti e burrascose della viola(Heroin).

È la voce profonda e tagliente come un filo d’erba della regina di ghiaccio Nico a raccontare il mondo variopinto della Factory di Andy Warhol e i suoi irrequieti frequentatori, in particolare i travestiti, in All Tomorrow’s Parties, fiaba nera e carosello di suoni concatenati di tastiera, basso, ostrich guitar e tamburello, insieme ai sentimenti più puri di I’ll Be Your Mirror, scritta e dedicata da Lou al suo primo amore Shelley Albin, ma che rappresenta molto bene anche il travagliato rapporto tra lui e la stessa cantante tedesca; e alla spietata Femme Fatale, modellata sulla figura Edie Sedgwick, una delle tormentate muse di Warhol.

Come quest’ultima, altre due donne descritte da Lou appaiono algide e sempre nella posizione di poter condurre il gioco, sfruttando la propria bellezza e intelligenza (sebbene, proprio come Edie, nascondano in realtà delle grandi fragilità): la prima domina la scena dell’esplicita Venus In Furs, caratterizzata da sonorità ipnotiche ottenute dall’intreccio della viola elettrica di Cale con la chitarra di Reed, tra la perversione delle pratiche di BDSM e sadomasochismo e un velo di angoscia e amarezza, mentre la seconda è una prostituta che gioca senza rimorsi con il cuore del personaggio offuscato e bruciante di gelosia, descritto tra le melodie jangle e i cori di There She Goes Again.

La sconvolgente conclusione è lasciata alle immagini surreali che avvolgono la sperimentale The Black Angel’s Death Song, dove a esser protagonisti insieme allo stream of consciousness di Lou e al suo “angelo nero” sono ancora una volta i suoni nevrotici della viola, e al violento tornado cacofonico strumentale di European Son, caratterizzato da quasi otto minuti d’improvvisazione tra ritmi frenetici e distorsioni di chitarra, introdotti da uno scanzonato riff di basso e un brevissimo testo dedicato al poeta Delmore Schwartz, insegnante di Reed all’Università di Syracuse.

Ogni altra definizione o leggenda tratta da qualche manuale di sorta su The Velvet Underground & Nico, fonte di ispirazione pressoché infinita che negli anni ha superato numerosi ostacoli e censure, scosso e stregato intere generazioni e che continuerà ad ammaliare nuovi ascoltatori fino alla fine dei tempi, sarebbe superflua. Non era pensata per essere semplice musica d’intrattenimento, ma un pezzo di cultura, quel patrimonio che al giorno d’oggi ci appare sempre più bistrattato, svuotato e ammutolito che mai, a volte per paura che come il canto di una sirena possa sussurrare cose pericolose e turbare gli animi, o semplicemente perché sempre più in balia del becero revisionismo modaiolo ed ipocrita.

DATA D’USCITA: 12 Marzo 1967
ETICHETTA: Verve