Home INTERVISTE Arab Strap: «Ora stiamo bene assieme»

Arab Strap: «Ora stiamo bene assieme»

Bisogna accontentarsi e di questi tempi non è facile. La storia degli Arab Strap ci dice che non è serio chiedere, in maniera muscolare, una ripartenza della band. Insomma, “tornate!”, “fate un disco nuovo!” non sono sollecitazioni che Aidan Moffat e Malcolm Middleton assecondano facilmente. La loro è una storia musicale delicata, interrottasi con lo strappo del 2006. Poi, però, periodicamente, certi ritorni di fiamma, certe ristampe, certe riedizioni e certi concerti li ricongiungono. Senza troppi proclami. Funziona così: Aidan e Malcolm decidono di fare qualcosa e si telefonano da due parti distanti della Scozia. E la cosa si fa. Come questa volta. La quarantena blocca tutti a casa? Loro trovano il tempo di rispolverare un archivio di cui ragionavano da un po’: vecchi CD, musicassette, minidisk rieditati, digitalizzati. All’interno live, EP, pezzi rari per un totale di venti nuove pubblicazioni in digitale da ascoltare in streaming sul Bandcamp del gruppo o da scaricare a una cifra simbolica. Degli Arab Strap, Malcolm, è sempre stato il più pacato, la figura rassicurante. Con quei capelli rossi e quelle chitarre accarezzate. Aidan, invece, un’isola da scoprire. Temibile della sua voce che è un coltello conficcato tra le budella. La band è il risultato dello scontro tra acqua e fuoco. L’impatto tra mondi. Il ricongiungimento tra distanze. E anche questa volta.

Malcolm, gli “archivi” sono innanzitutto un pregevole lavoro a distanza tra te e Aidan.
È vero, la distanza c’è eccome. Aidan si trova sulla costa occidentale della Scozia, io invece sono a Est. Siamo in salute e al sicuro dal virus. La chiusura ci ha spinto ad approfondire un’idea che avevamo da anni, ma che solo ora abbiamo avuto il tempo di realizzare. Devo essere sincero, è Aidan che ha svolto gran parte del lavoro, compilando e setacciando molti CD e nastri e realizzando illustrazioni fantastiche per ogni uscita. 

Alcune band hanno un rapporto più problematico con il loro passato, voi invece sembra vi troviate a vostro agio.
Sì, noi amiamo letteralmente scavare tra le nostre vecchie cose, ci piace confezionare compilation e cofanetti. La vicenda è andata così: io stavo ordinando alcuni vecchi CD e ho inviato alcune cose ad Aidan, poi anche lui ha iniziato ad archiviare materiale. Quindi è iniziato una specie di balletto con i file che volavano avanti e indietro tra noi. Alla fine, come’era inevitabile, abbiamo pensato che sarebbe stato bello che le persone sentissero qualcosa.

Tra le chicche quale reputi sia il contenuto più interessante?
Ah, è difficile da dire perché dentro c’è un mix così particolare e i gusti tra noi variano. Se proprio mi costringi, forse ti direi il concerto all’Accelerator Festival del 2001 in Svezia. Ecco, sì, quello è uno dei miei contenuti preferiti.



Ti ricorda qualcosa di speciale?
Sì, era un bel momento quello. Portavamo in giro l’album “The Red Thread” (2001), era Luglio e quello di Stoccolma fu uno degli ultimi live del tour. Abbiamo suonato bene e senza stress e poi ci siamo esibiti con una grande line-up, purtroppo però arrivata alla fine di quella prima nostra era di concerti.

Hai parlato della dimensione live. È sempre stato il vostro segreto: avere una natura intimistica su disco e poi venire fuori diversamente dal vivo.
Assolutamente. Penso che ci siano due band. Quella in studio che scrive le canzoni, sostanzialmente io e Aidan, e poi la versione live che fa progredire i pezzi per un pubblico dal vivo. Entrambe sono sempre state importanti per noi e sono felice di questa differenza radicale perché ci ha impedito, durante i concerti, di fare imitazioni degli album. Certo, è successo anche che alle volte siamo stati davvero una merda! Come quando durante il tour del nostro primo album abbiamo proposto versioni punk di canzoni acustiche lo-fi!

Questa mi manca, la andrò a cercare! L’ultima volta che vi siete esibiti in Italia era il 2017. Al Siren Festival di Vasto sembravate al 100% voi.
Abbiamo apprezzato moltissimo Vasto e ci siamo sempre trovati benissimo in Italia. Queste piccole serate estive all’aria aperta sono molto divertenti da suonare, anzi vorrei che ne potessimo fare di più in Scozia. Ma sai la pioggia…

A proposito, come sta vivendo la Scozia questo maledetto virus?
Sta cercando di affrontarlo nel miglior modo possibile. Molte persone stanno facendo un lavoro straordinario per la propria comunità.

E la vita dentro casa? Com’è?
Non ci lamentiamo, dai. Io ho il mio studio casalingo, quindi suono e registro. Sia io che Aidan abbiamo dovuto posticipare qualche sessione di registrazione e poi, sì, abbiamo perso le date del tour, ma non è poi così grave. Stiamo facendo molta scuola a casa con i nostri figli e questo ci tiene impegnati.

Come ne esce la musica da tutto questo?
È un momento davvero strano e inaspettato. Molti artisti e crew itineranti saranno duramente colpiti. Dobbiamo fare del nostro meglio e trovare il modo di cavarcela. Tra musicisti saremo costretti a sostenerci a vicenda nel miglior modo possibile.

Torniamo agli “archivi”. Ci sarà anche un’uscita su disco?
No, non del tutto. Certo, c’è qualcuno che chiede insistentemente l’uscita di un vinile. Vediamo come va.

Malcolm, ti ringrazio della chiacchierata. In bocca al lupo.
Hey Riccardo, è stato divertente. Abbi cura di te e spero di vederti presto.

Anche a noi piacerebbe rivedervi presto, magari in studio per materiale nuovo. Sempre se con Aidan andate d’accordo, eh!
Ora stiamo molto meglio di quando ci siamo separati nel 2006.