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Cesare Basile: «Sono un punk col mandolino»

cesarebasileintervista2015Lo ricordo bene Cesare Basile nelle tante interviste che mi ha rilasciato. Ricordo quando mi parlava della storia di Hellequin, il principe dei morti, diventato poi il buffone Arlecchino. Oppure della Bibbia: «fonte inesauribile di archetipi, tracce e immagini» – come dice lui. Ricordo i suoi racconti sulla Berlino del muro o della Milano frenetica da vivere quando tutti dormono. Ricordo del suo giro zingaro con i Willard Grant Conspiracy o dell’albero di Giuda a piazza Umberto «che non c’è più». Un artista affamato di storie e dei modi più personali per raccontarle. Poi avvenne qualcosa. Una specie di chiamata, per carità non di tipo mistico, ma piuttosto “armata”. Le storie di Cesare, quelle più narrative, quasi d’avventura, lasciano posto alla chiamata alle armi della Sicilia. Un impegno di critica e partecipazione continuo e faticoso. Ed è lui stesso a dirmelo, subito, in questa nuova intervista che dedichiamo al nuovo disco Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più: «Sono tornato in Sicilia perché voglio vivere in Sicilia – mi dice – perché dalla Sicilia posso raccontare il mondo intero raccontando la Sicilia».

Quindi nessun pentimento della scelta di tornare a casa. Ma ti viene in qualche momento voglia di lasciarla di nuovo?
Tempo fa un mio fraterno amico mi ha detto: “…mentre noi lasciavamo vuoti e ci spaccavamo il fegato, questi pezzi di merda si prendevano la città”, lo trovo assolutamente vero. No, non ho voglia di lasciarla di nuovo.

Ti chiedo questo perché in “Tu prenditi…” vedo il Basile più duro, quello che alla Sicilia proprio non perdona la sua colpevolezza. È un tuo modo di smuoverla dall’intorpidimento?
Non rimprovero nessuna colpevolezza a questa terra, vittima d’arbitrio come qualunque altra parte del mondo, semmai l’accondiscendenza verso l’elemosina che quotidianamente l’umanità, e non solo la Sicilia, subisce dai propri governanti. Ci mangiamo la carne assassinata delle ricorrenze e, al ballo in maschera, indossiamo per una notte la pelle dello sdegno democratico uccidendo due volte i “perdenti”.

A proposito, il brano “Tu prenditi l’amore che vuoi” come “Sotto i colpi di mezzi favori” del precedente disco mostra una Catania irrimediabilmente triste, corrotta e sottoscacco. Impossibile un po’ d’aria pulita per la nostra città?
L’aria pulita è dappertutto, si respira ogni volta che un individuo rivendica coi fatti la propria dignità e si prende quello che gli spetta. Il diritto a sottrarsi a un gioco in cui non sarai mai nient’altro che la palla.

Proviamo a parlare un po’ di musica: mi sembra che in questo disco riemerga maggiormente il blues. Quello americano. Un amore riscoperto?
Il blues non si dimentica, è una presenza continua, a meno che tu non ti riferisca a quelli che si fanno le seghe sulle scale per chitarra. Il blues è uno stato d’animo, una qualità spirituale, lo spiritello ai piedi del letto che ti aspetta a ogni risveglio. C’è blues in questo disco, decisamente.

Altro dato: canzoni scarne e poi canzoni molto più “ornate”. Sono le due facce di Basile?
…no, solo la mancanza di controllo sulle storie. Lascio che suggeriscano loro ai musicisti quello che gli piacerebbe indossare come vestito. A volte ci provo a “pianificare” un percorso produttivo ma solitamente mi annoio e alla fine lascio che l’imprevisto batta il tempo.

E poi la scrittura. Quanto ti sta dando soddisfazione scrivere canzoni in dialetto siciliano? E quali le difficoltà dal punto di vista metrico?
Metricamente il siciliano è quanto di più ritmico e musicale io abbia mai masticato. È lingua poetica, feroce, tenera, quotidiana e, soprattutto, aperta. Sa di terra e di sale. Non mi dà soddisfazioni, mi riconcilia con la mia infanzia.

Lo so non c’entra nulla, ma tu ti vedi ancora come un musicista rock?
Io resto un punk, anche col mandolino.

Ecco, lo sospettavo. Parliamo un po’ di politica: tempo fa era impensabile che un esponente della Lega venisse a far comizi in Sicilia. Oggi, seppur nella contestazione, Salvini è arrivato a Palermo in cerca di consensi. È cambiata la Sicilia o è cambiata la politica?
Salvini flirta coi fascisti del terzo millennio e coi primi campieri che si trova a portata di mano. Vuole togliere l’assistenza medica agli immigrati e si commuove per le dichiarazioni di due cialtroni come Dolce e Gabbana in difesa della famiglia tradizionale. Manda un suo tirapiedi a giocare alla guerra in Libia e difende la cristianità dei bovari… La politica, quella di certi individui, non cambia mai. Fortunatamente c’è chi ancora li accoglie saltandogli sul cofano delle auto.

Volevo chiederti del Teatro Coppola che vedo e sento lì forte e resistente. Dunque la sua è una buona salute? E in generale come valuti l’attuale condizione degli altri teatri occupati, dopo una prima stagione di grande partecipazione?
La stagione dei Teatri occupati è, probabilmente, finita. Sarebbe bello pensare di essere alle porte di una stagione diversa, quella della consapevolezza e dell’urgenza: una stagione in cui le riappropriazioni dei beni pubblici dal basso comincino a raccontare che bisogna strappare spazio vitale al potere e riempirlo di bisogni e condivisione, laboratorio sottratto alla schiavitù del lavoro salariato. Una stagione in cui, più che riprendersi uno spazio architettonico, si navighi verso l’ignoto. A questo serve ancora il Teatro Coppola.

E invece l’Arsenale? Non doveva essere il collante di tutto? Che fine ha fatto?
L’Arsenale è rientrato nelle isole che voleva forzare, anche se senza l’Arsenale non ci sarebbero state quattro occupazioni di Teatri in Sicilia.

Hai dato il ben servito alla SIAE decidendo di gestire da solo i diritti delle tue canzoni. Ma la musica per te è ancora un lavoro? Una “professione”?
Il lavoro, per come siamo abituati a subirlo, mi fa schifo e alla professione preferisco il mestiere, la conoscenza dell’artigiano, lo studio dei materiali e degli strumenti, imparare dal legno che stai lavorando: la gioia nella creazione di un manufatto. Prova a chiedere a un operaio o a un trentenne impiegato in un call center quale gioia passa dalle loro mani. Il lavoro è una menzogna inventata dai padroni, come i diritti d’autore sono l’alibi per mantenere i privilegi di pochi pretendendo di esercitare tutela.

Ma quando sei felice? Cioè, qual è la cosa che ti rende sereno nonostante tutto?
Che sono libero dall’ossessione di ottenere a tutti i costi qualcosa dall’esercizio della mia arte.