Home INTERVISTE King Hannah: «Il nostro patto di sangue»

King Hannah: «Il nostro patto di sangue»

Photo Credit: Lucy Mclachlan
Photo Credit: Lucy Mclachlan

Vorremmo tutti essere Hannah e Craig almeno per un giorno. Girare per i club nel cuore dell’Europa con quelle facce fresche di neanche trent’anni e con chitarre ancora lucide, senza ruggine. Gettarsi in un’avventura più grande di loro, suonare musica più grande di loro, divertirsi da matti nel mettere in discussione, citare, superare, farsi carico per poi scappare. Irresistibilmente naïf, conciati da ragazzi degli anni Novanta senza averne una reale percezione. Vorremmo essere tutti i King Hannah, dai, ammettiamolo. Con un disco appena uscito e un sacco di date ancora da cavalcare in questa primavera di rinascita, come ad esempio quella di stasera all’Arci Bellezza di Milano (e poi domani a Genova). Un modo per il pubblico italiano di ascoltare i pezzi del nuovissimo I’m Not Sorry, I Was Just Being Me (qui la nostra recensione), un disco che sembra un messaggio in bottiglia recapitato da Bristol, anzi dal porto di Portishead, fino a Liverpool circumnavigando il Galles in un “viaggio” lungo trent’anni. Canzoni che grattano alla porta del trip hop, dello slowcore, mescolando musiche e piani. E che ci fanno fare i conti però con le inquietudini nuove di un duo vergine di certo smalto nero. Ce lo dice la naturalezza di certe foto, ingiallite da filtri, che calano Hannah Merrick e Craig Whittle perfettamente in questo 2022, con l’impasto naturale di passato e futuro segno delle band di oggi. Ed è tutto una “prima volta” per i King Hannah: primo LP, prime interviste e primo tour europeo. Ecco, il tour. Partiamo da qui per conoscerli un po’ meglio.

Hannah, Craig, il vostro profilo Instagram ci racconta in presa diretta quanto vi stiate divertendo in questo tour. Piccoli club, pieni di adesivi, che ci riportano alla bellezza del tornare a toccare con mano la musica.
(Hannah & Craig) Vero, ci sta piacendo un sacco, è il nostro primo tour europeo in assoluto e questi piccoli club sono fantastici. Amiamo essere super intimi sul palco, interagire con i ragazzi del pubblico: quelli in fondo e quelli nelle prime file. Sì, davvero divertente!

La vostra semplicità dal vivo e la vostra complessità in studio. Quanto cambiano i King Hannah tra live e disco?
(Hannah & Craig) Prendiamo molto sul serio i nostri concerti. Ci piace creare il miglior show possibile, ci piace l’idea che i nostri spettacoli possano essere un’estensione dell’album. Quindi proviamo costantemente cose nuove. Il tour in questo senso è il luogo perfetto dove sperimentare. Come dicevamo prima, ci nutriamo molto del pubblico scrutando, tramite le reazioni in sala, cosa funzioni e cosa meno.

Gli ascoltatori sono importanti per voi.
(Hannah & Craig) Beh, sì, ma fa parte del nostro lavoro: produrre uno spettacolo che rispetti il valore dei soldi di chi ha pagato un biglietto.

Parliamo di “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”, il disco uscito a Febbraio, c’è questa apertura che spiazza tutti: è come se i Portishead fossero tornati dopo tredici anni.
(Hannah) Grazie davvero, è un grande complimento quello che ci fai. Ricordo bene la prima volta che ho sentito i Portishead: ero una ragazzina e c’era questa musica incredibile che proveniva dalla camera di mia sorella maggiore. Ricordo che entrai e rimasi lì ad ascoltare per ore. I Portishead sono un’ispirazione enorme per noi, li adoriamo.

Sapete se sono venuti a conoscenza della vostra musica?
(Hannah) Non so dirti sinceramente, di certo Geoff Barrow ci segue su Instagram, magari qualcosa l’ha ascoltata, chi può dirlo!



Sono certo che se Beth Gibbons ascoltasse “Foolius Caesar” si riconoscerebbe, soprattutto nel canto di un amore quasi cinematografico.
(Hannah) Ti dirò, in realtà nel periodo in cui scrivevo quella canzone ascoltavo tantissimo PJ Harvey.

Ok, quindi Portishead, PJ Harvey… quali altre ispirazoni?
(Hannah & Craig) Bill Callahan sicuramente, per il suo modo di mettere spazialità nelle sue canzoni.

Approfondiamo questo aspetto. La spazialità, l’atmosfera, sono i tratti distintivi del vostro disco, dalla prima alla tredicesima canzone.
(Hannah & Craig) Amiamo le canzoni che hanno una spazialità, stiamo lentamente imparando che “less is more” e che, alle volte, più semplice è la canzone, maggiore è l’atmosfera che emana. Allo stesso modo, amiamo anche i film che richiamano questo spazio libero, ci ispirano tanto, sia dal punto di vista sonoro che dei testi.

A proposito di cinema: la vostra storia sembra uscita da un film, avete raccontato di esservi incontrati in un bar. Ecco, la scena di voi che iniziate a far musica, magari facendo tintinnare una tazzina di caffè, è quella che mi sono creato io, quindi non rovinatemela! A parte gli scherzi, i King Hannah sono nati lì, in quel bar?
(Hannah) È un’immagine fantastica! Ma purtroppo, devo dirtelo, i King Hannah sono nati molto prima del bar. Avevo già quel nome in testa, considera che scrivo canzoni praticamente ogni giorno da quando ho diciotto anni. Il progetto ce l’avevo in testa, era solo questione di tempo, mi mancava solo incontrare le persone giuste per realizzarlo. Poi ecco, mentre cercavo un chitarrista per alcune canzoni su cui lavoravo, venni a sapere di Craig. Ci è voluto un po’ di tempo per concretizzare, io ero sempre così nervosa nel fargli sentire le mie canzoni. Ma alla fine eccoci qui.

Da dove siete partiti?
(Hannah) In quei giorni eravamo entrambi molto interessati alla musica di Laura Marling. No, dai, interessati è poco, io ero praticamente ossessionata da lei! Seguivamo tutta la scena folk-cantautorale inglese di quell’epoca, come The Staves ad esempio.

E la vostra città, Liverpool, che ruolo ha avuto?
(Hannah & Craig) Ad essere onesti, ci siamo sempre sentiti un po’ fuori dal circuito musicale di Liverpool. Non ci siamo mai stati pre-Covid e poi ovviamente il mondo è rimasto fermo per due anni.

Torniamo al disco. Nei testi di Hannah c’è fragilità e forza, sembra una contraddizione ma non lo è. Un disco di fragilità e superamento delle fragilità. Si può dire così?
(Craig) Amiamo il concetto di vulnerabilità in musica, sia musicalmente che dal punto di vista dei testi. Quindi se questa nostra intenzione arriva all’ascoltatore siamo felici.
(Hannah) Come dice Craig, la vulnerabilità, e io aggiungo l’onestà, sono sfumature importanti per noi. È straordinario sentire cosa le persone traggano dalle nostre canzoni.



Craig, in canzoni come “The Moods That I Get In” emerge tutta la femminilità di Hannah. Femminilità nella sua profondità di tensione, dolcezza, complessità. In che modo l’hai accompagnata con la musica?
(Craig) Hannah è la persona più determinata che abbia mai incontrato, ma anche la più premurosa e gentile, e penso che sia questa combinazione a conferire alla musica vulnerabilità, tenerezza e forza. Cerchiamo sempre di usare la strumentazione per riflettere quest’aspetto, con momenti intimi e tranquilli e paesaggi sonori grandi e rumorosi.

Vi saluto chiedendovi di “It’s Me And You, Kid”, un pezzo senza età, potrebbe essere una canzone degli anni ’70. Hannah ripete ben dodici volte la frase “Siamo io e te”. È il “patto di sangue” per il futuro della band?
(Hannah & Craig) Grazie, è una canzone che adoriamo! Questa canzone parla di noi e del nostro viaggio musicale fino ad ora. Noi siamo i più grandi fan l’uno dell’altra e lo saremo sempre, quindi sì, chiamiamolo proprio così, il nostro “patto di sangue”!

Un patto si sangue siglato con magliette a righe, té in tazzoni bianchi, una casa piena di strumenti, un cellulare che sbilenco riprende, una finissima luce a penetrare dalle finestre, il berretto di lana di Craig, le felpe e le camicette stropicciate di Hannah. Musica, vecchia, antica, nuova, nuovissima. Musica, musica, musica e basta.