Home INTERVISTE Liars – “Sisterworld, il nostro disco sulla fuga”

Liars – “Sisterworld, il nostro disco sulla fuga”

Aprile 2010: I Liars sono tornati da Berlino con due dischi ed una popolarità meritatissima. L’esperienza berlinese ha regalato ad Angus Andrew e compagni un volto sperimentale e diversi nuovi suoni nella tavolozza. Tornati dall’Europa, i “bugiardi” sono andati a Los Angeles. Una città enorme, zeppa di gente e frenesia, ma anche ricca di “zone d’ombra”. Lì hanno concepito “Sisterworld”, il disco con cui si traghettano nel 2010. Il Cibicida ha intervistato Angus Andrew e ha scoperto che, forse, i Liars non sono poi cosi bugiardi…

Domanda: Angus, avete registrato il vostro nuovo disco “Sisterworld” a Los Angeles. Quanta influenza ha avuto sulle canzoni?
Angus: Grande. Ha avuto una grande ascendenza su di noi perché è un posto sconvolgente. Forse la cosa più importante è stata l’idea dei sentimenti dislocati e alienati che ci sono in una città, invece, talmente tanto popolata. Cioè, tutti la immaginiamo così, ma in realtà la Los Angeles che fantastichiamo è totalmente diversa da quella che realmente vivono i cittadini di qui.

Domanda: In effetti Los Angeles è conosciuta più per i suoi spazi pieni, meno per quelli vuoti…
Angus: Sì, ti ripeto, esiste un’idea di Los Angeles e poi invece c’è la realtà. Le due cose sono molto differenti. I ritratti di Hollywood sono quelli di un luogo ricco e soleggiato. E’ importante per l’identità essere confermata, per il bene di tutti. Ma, d’altra parte, come tu dici, c’è molto che è lasciato nascosto cui non si pensa. Insomma la vera Los Angeles è del tutto ignorata.

Domanda: E’ possibile paragonare Los Angeles a Berlino? Altra città importante per voi, ci avete registrato “Drum’s Not Dead” e “Liars”…
Angus: Credo di no. La mia esperienza a Berlino è stata molto personale e particolare, proprio per la maniera in cui ho trascorso il mio tempo lì. Ero in grado di raggiungere un fortissimo senso di anonimato. Cosa che invece è impossibile per me fare a Los Angeles. Lì sono costantemente bombardato da input che arrivano da tutti gli angoli. Da un lato la gente che conosco, dall’altra i media. Los Angeles ti propone un lifestyle davvero stimolante e continuo.

Domanda: Parlando di “Sisterworld”, ci spieghi il titolo?
Angus: E’ semplicemente una metafora della fuga. Ci siamo immaginati “Sisterworld” come un posto in cui scapperemmo per raggiungere un senso di noi stessi. Un posto dove puoi dimenticare tutti i problemi e i casini che hai, e stabilire delle nuove linee guida. La musica che ascolti nel disco è emblematica: ci sono cose che vorresti lasciare e c’è un nuovo te stesso da trovare in un nuovo luogo, appunto Sisterworld.

Domanda: L’album suona meno elettronico. Volevate un disco più rock?
Angus: Non mi interessa schiacciare dei pulsanti. Voglio che il disco emozioni come una corda che si contorce o come un bastone che si frantuma.

Domanda: “Scissor” ha un videoclip allegorico. La prima volta che l’ho visto ho pensato che la natura è sempre troppo più forte degli esseri umani…
Angus: Sì. Mi piace pensare alle qualità misteriose e minacciose dell’oceano. A quanto può essere splendido ma completamente estraneo e spaventoso. Credo che la location dell’oceano sia perfetta per “Scissor”, ti fa capire la fragilità della vita in opposizione alla forza della natura.

Domanda: Solo una curiosità, “The Overachivers” sembra uscire dal grunge. Ispirazione?
Angus: In realtà no. L’unica ispirazione è arrivata da Brett Easton Ellis, uno dei miei autori preferiti. Mi piace pensare alla possibilità di successo e fallimento come sinonimi di ognuno.

Domanda: Gli anni zero hanno cambiato la musica. Cosa ne pensi della possibile morte del disco?
Angus: E’ divertente. Penso ci siano un sacco di possibilità per la sperimentazione sulla musica, su come questa si relaziona con l’ascoltatore. Io ero un fan di quando gli Of Montreal fecero uscire un paralume come confezione di un loro disco. Non c’è davvero bisogno del cd. Non serve a nessuno.

Domanda: Ormai siete maturi, quando finirete di dire bugie e ci direte chi siete davvero?
Angus: Credo che da quando abbiamo deciso di chiamarci Liars siamo stati i più onesti possibili. Ammettere che qualche volta si dicono bugie è più reale che pretendere di essere un essere umano perfetto. Tutti lo fanno, perché non smettere di pretenderlo?

* Foto d’archivio
* Supporto a cura di Emanuele Brunetto

A cura di Riccardo Marra