Home INTERVISTE The Haunted Youth: cronache dalla gioventù ribelle di Joachim Liebens

The Haunted Youth: cronache dalla gioventù ribelle di Joachim Liebens

Photo Credit: Robin Todde
Photo Credit: Robin Todde

C’è questa foto − esatto, quella che trovate qui in alto − di Joachim Liebens che la dice lunga su cosa ci si può aspettare dall’ascolto di “Dawn Of The Freak” (qui la nostra recensione), l’album d’esordio del progetto The Haunted Youth, di cui Liebens è volto e sostanza. Perché ha i My Bloody Valentine stampati sulla maglia, colossi di quello shoegaze/dream pop che rappresenta senza mezzi termini il principale riferimento della proposta musicale della formazione belga. Eppure a leggere in giro si scopre come Joachim abbia trascorso l’adolescenza ad ascoltare death metal e poi tantissima elettronica, quindi ciò che ritroviamo adesso sul disco è − come spesso accade − solo il risultato di una molteplicità di input diversi fra loro, processati dalla sua espressiva sensibilità. The Haunted Youth stanno per arrivare in Italia per la prima volta, sabato 8 Aprile all’Arci Bellezza di Milano, e per l’occasione abbiamo intercettato Joachim per farci dire un po’ di più sulla sua band e sul background del loro apprezzato debutto discografico. Ecco cosa ci ha raccontato…

Joachim, iniziamo da “Teen Rebel”, un brano davvero d’impatto, ha il sound giusto, una meravigliosa melodia agrodocle, è semplicemente perfetto. Cosa significano per te quei quattro versi?
Mi sembrava come se ogni generazione avesse avuto degli artisti rock in grado di rappresentarla, ciascuna con il proprio “inno di ribellione”. E volevo semplicemente provare a farne uno, pertinente al modo in cui la mia generazione ha vissuto le proprie esperienze, o quantomeno io e i miei amici. Andando avanti, però, è diventato una sorte di ode al gruppo di amici che avevo, quelli che consideravo i miei primi veri amici, con cui mi sentivo davvero me stesso. Ci riunivamo giusto per non stare a casa, per stare lontani da quelle battaglie quotidiane che abbiamo affrontato tutti, lì solo per fare festa per giorni e giorni, drogarci, ubriacarci, fare l’amore. Una di quelle persone attualmente suona anche il basso nella band. Tutti noi abbiamo la sigla “N9” tatuata addosso da qualche parte, una cosa che abbiamo fatto da soli, a mano, con un chiodo arrugginito o qualcosa del genere: si tratta dell’indirizzo della casa in cui ci riunivamo.

Ascoltando “Dawn Of The Freak” tornano alla mente tante band shoegaze, gli Slowdive su tutti. Però ho letto alcune interviste dove fra le tue influenze citi spesso formazioni davvero lontane dallo shoegaze. Come sei arrivato al sound del progetto The Haunted Youth?
È semplicemente progredito poco a poco, partendo da cose molte diverse da quello che è ora, ho provato molte soluzioni differenti! Di solito sono solo ossessionato dalle belle canzoni, piuttosto che da generi o band in particolare.

Ricollegandomi al testo di “Coming Home”, cosa significa per te sentirti a casa? C’è un posto in questo momento che consideri davvero “casa”?
Sì, quando sono a casa con la mia ragazza e i miei cani, è quello il momento in cui mi sento a casa, oppure con la mia band sul palco o nel tour van, che per me ormai sono diventati anch’essi una sorta di “casa”.

Cosa puoi dirci a proposito della copertina di “Dawn Of The Freak”? Sei tu il bambino − è un bambino, giusto? − nella foto che avete usato? Quando è stata scattata?
È una foto scattata in Germania, nella Foresta Nera, e quello lì ritratto è mio fratello. Non so, quando l’ho vista mi ha colpito immediatamente.

Come ci si sente a sapere che tanti ragazzi si identificano nei tuoi testi? Senti un po’ la responsabilità per quello che comunichi e il modo in cui lo fai?
Ti dirò, penso che la cosa importante sia scrivere sempre ciò che senti, non cercando necessariamente di “avere una buona influenza” o peggio ancora provare a fare la predica alle persone attraverso una canzone, magari “mostrando loro la via”… non c’è un modo giusto per farlo e penso che, in generale, ciò che fa connettere le persone alle canzoni sia l’onestà, la possibilità di leggerci dentro i propri sentimenti. A quel punto diventa la loro storia o la colonna sonora della loro storia. Penso sia importante essere in grado di pensare, sentire, dire ciò che vuoi nella musica, perché in fondo è l’unico posto in cui è possibile farlo, un posto libero da confini, ed è quello che le persone, me compreso, vogliono davvero: sentirsi liberi e in contatto con ciò che provano davvero.

Se potessi scegliere un solo artista con cui collaborare, da ospitare sul vostro prossimo album, chi sarebbe e perché?
Yungblud sembra avere le mie stesse vibes nel creare e suonare musica, quindi sarei curioso di capire cosa potremmo fare insieme. Credo sia anche un ragazzo molto dolce e adorabile con cui potrebbe essere interessante scrivere e registrare qualcosa. Per non parlare della sua voce davvero in-cre-di-bi-le… lo amo da morire, sento di avere così tante idee da poter provare insieme a lui, vederlo interagire con esse… non so, sarebbe qualcosa di quantomeno divertente!

L’urgenza espressiva è una delle caratteristiche più evidenti del vostro album d’esordio, quindi in chiusura ti chiedo: che piani hai per il futuro, in che direzione si evolveranno i tuoi testi?
In questo preciso momento i temi di “Dawn Of The Freak” sono per me un po’ obsoleti, attualmente sono ispirato dall’innamoramento, dal girare il mondo e dal sentirmi come se fossi per una volta al posto giusto, ma portando ancora dentro di me gli stessi demoni, che mi ispireranno finché avrò una chitarra per combatterli. Ecco, penso che il punto focale del progetto The Haunting Youth sia questo: io che combatto i miei demoni. Come tutti noi. E in questo modo, fornendo ad altre persone una colonna sonora per le loro vite, spero di riuscire in qualche modo ad illuminarle!