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Bon Iver

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Anche se formalmente s’è sempre trattato di una band, Bon Iver è Justin Vernon in maniera più che osmotica, un progetto che si fonde in un tutt’uno con l’innata capacità espressiva del songwriter americano, fatta di un delicato falsetto che diverrà in breve un indelebile marchio di fabbrica e di una malinconia che solo in pochi – ma narrativamente fondamentali – momenti lascia intravedere spiragli di fuga. Legato irrimediabilmente al particolare, critico momento di vita di Vernon, fra delusioni tanto personali quanto professionali, il progetto si è evoluto in un folk elettronico che in pochi anni ha fatto decine, forse centinaia di proseliti.

FOR EMMA, FOREVER AGO (2008) – Tra i dischi più significativi della prima decade del nuovo millennio, suonato e inciso con strumentazione casalinga, è il viaggio del suo autore in sé stesso allo scopo di ritrovarsi. Un lavoro prettamente acustico, interrotto solo da lievi accenni di batteria e sottilissimi inserti elettronici che ne fanno l’anello di congiunzione fra la vecchia e la nuova scuola folk.

Brano consigliato: Skinny Love – In breve: 4,5/5

BLOOD BANK (2009) – Il folk trasognato dell’album d’esordio resta il punto di partenza, ma questo EP di quattro tracce mostra in modo inequivocabile il sentiero imboccato da Vernon, con l’apporto dell’elettronica che si fa via via più presente, in una sorta di climax ascendente che getta uno sguardo premonitore sul futuro.

Brano consigliato: Blood Bank – In breve: 3,5/5

BON IVER (2011) – Come lasciato intuire dall’EP del 2009, il secondo Bon Iver vira verso nuovi territori: qui fanno capolino corpose sezioni di fiati, l’elettronica esplode definitivamente ed è la dimensione band piuttosto che quella solista a prevalere. Ne guadagna l’umore del disco, decisamente più primaverile dell’esordio, anche perché le pene d’amore lasciano qui spazio a lyrics più visionarie.

Brano consigliato: Calgary – In breve: 4/5