La prima cosa che salta all’orecchio ascoltando il nuovo album di Damon McMahon aka Amen Dunes è il (non)lavoro alla voce, pulita, pulitissima, libera dai riverberi e dagli effetti che la filtravano nei dischi precedenti e soprattutto nell’ultimo “Love” del 2014. Freedom, così, è un titolo che già per questa circostanza si giustificherebbe da sé, se non fosse che di libertà uno come McMahon se n’è prese tante in passato e se ne prende molte anche qui.
Innanzitutto quella di far sua l’enorme tradizione cantautorale, rimasticandola e digerendola fino a risputarla fuori totalmente rimodulata: ad esempio Calling Paul The Suffering, che ha nello Springsteen di metà ’80 un chiaro punto di riferimento; oppure la dylaniana Believeo ancora il singolo Blue Rose e Time, che sarebbero potuti essere pezzi dei primi Arcade Fire se avessero avuto uno come Lou Reed alla voce/scrittura.
Le striature psych che innervavano il folk di Amen Dunes in “Freedom” sono ridotte all’osso, piuttosto McMahon preferisce concentrarsi più che in passato su ciò che ha da dire, distraendo il meno possibile il suo interlocutore: il rapporto col padre, la malattia della madre, gli amici e la sua stessa natura, affrontati con un songwriting che alterna momenti immaginifici ad altri estremamente diretti e duri.
Non sono lavori facili quelli firmati Amen Dunes, ti ci devi immergere completamente per scalfirne la corazza e farti strada al loro interno, ma una volta dentro è impossibile non rimanerne conquistati.
(2018, Sacred Bones)
01 Intro
02 Blue Rose
03 Time
04 Skipping School
05 Calling Paul The Suffering
06 Miki Dora
07 Satudarah
08 Believe
09 Dracula
10 Freedom
11 L.A.
IN BREVE: 3,5/5