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Black Pumas – Chronicles Of A Diamond

Ancora ci si chiede, a quattro anni di distanza dal loro omonimo esordio del 2019, da dove fossero saltati fuori i Black Pumas. Un disco, quello, arrivato come un fulmine a ciel sereno a portare una ventata di freschezza in un genere − che semplificando chiameremo semplicemente soul − nel quale è sempre stato complicato inserirsi senza apparire ripetitivi o revivalistici. Eppure Eric Burton e Adrian Quesada ce l’avevano fatta, oseremmo dire ampiamente, visto com’è andata con “Black Pumas”: nomination ai Grammy come se piovesse, pezzi prestati agli spot in tv e, più in generale, un’attenzione spasmodica di pubblico e critica nei confronti di ogni loro mossa, tanto da portarli a diverse riedizioni e ristampe del disco. Ma confermarsi, si sa, è sempre complicato, specie quando l’asticella si alza talmente tanto da far mancare il terreno sotto i piedi.

Burton e Quesada ci hanno messo abbastanza prima di farsi risentire, segno di come abbiano voluto provare a fare le cose per bene, proprio per non dilapidare colpevolmente il patrimonio di popolarità e hype messo da parte negli ultimi anni: il risultato è Chronicles Of A Diamond. Il primo singolo estratto dal disco, More Than A Love Song, posto proprio in apertura di tracklist, chiarisce come i Black Pumas siano dannatamente in grado di farsi catchy, se e quando vogliono; ma è evidente come dopo, nello scorrere del disco, le cose prendano una piega molto meno convincente del suddetto singolo e del primo album. C’è Gemini Sun in cui risuona un bel po’ di psichedelia sixties, c’è il piano jazzato di Mrs. Postman a dare un ulteriore tocco retrò, ma per il resto non c’è nessuna traccia che resti davvero impressa nella mente, neanche dopo ripetuti ascolti. E questo qualcosa vorrà pur dire.

Risulta difficile spiegare cosa nella sostanza manchi a questo “Chronicles Of A Diamond”, visto che parliamo pur sempre di un disco realizzato con tutti i crismi e condito da suoni freschi e di gran classe. Probabilmente a mancare sono i pezzi in senso stretto (basti pensare a cos’erano “Black Moon Rising”, “Know You Better” o “Fire”, bissati qui dalla sola Sauvignon col suo superbo groove), oltre a una certa fondamentale dose di pathos che, se nell’omonimo debutto di Burton/Quesada era il vero quid pluris, qui è invece abbastanza latitante, nascosto dietro la standardizzazione di un sound che per sua natura dovrebbe invece essere sempre carnale e, perché no, imprevedibile. Parlare di passo falso sarebbe forse azzardato, ma ci troviamo senza dubbio di fronte al momento in cui il progetto Black Pumas dovrà capire in che direzione andare per non rischiare di essere ricordati per sempre come “quelli di Colors”.

2023 | ATO

IN BREVE: 3/5