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Calibro 35 – Decade

Come spiega già il titolo, è il momento di una meritata celebrazione per uno dei gruppi involontariamente “chiave” di questo decennio trascorso. Perché “chiave”? Beh, non di certo da un punto di vista discografico: da quel punto di vista la storia del Calibro è senz’altro rispettabile, ma i numeri difficilmente possono competere con i favoriti delle radio, passati a ripetizione anche quindici volte al giorno; e non è neanche la critica a essere il fattore di saliente rilevanza nella narrazione della storia dei Calibro 35.

Vero è che la critica ha ricevuto in maniera sempre positiva gli exploit del prolifico quartetto, ma diciamo che non sono “ciò di cui si parla”, non sono il gruppo alla moda che spopola sulle webzine (nonostante numeri discografici non esaltanti, ma del resto chi cazzo li compra più i dischi). No, i Calibro 35 sono un gruppo chiave di questa decade di musica italiana perché dopo anni emerge un gruppo con consistente cultura musicale, qualitativamente costante e che sa suonare.

Quest’ultimo dettaglio è ormai quasi un’appendice dimenticata tra coloro che hanno successo in Italia. Certo che ci sono musicisti validi: ce n’è anzi una caterva; ma preferiscono fare i turnisti o dedicarsi al jazz, oppure rimangono ad affannarsi per trovare un minimo di riconoscimento in un Paese che ha dimenticato quale e quanta buona musica ha prodotto, un po’ come è successo con il cinema per un lasso indefinito di tempo.

E se nel cinema italiano recente ci si è impantanati nella narrativa della coppia di sinistra che vive una crisi mentre lui cerca soddisfazioni nella giovinetta un po’ zoccola e lei riflette su sé stessa e sugli anni trascorsi, nella musica “popolare” italiana si è aperta una frattura enorme tra due fette di pubblico: chi venera la miseria dell’indie, povero di idee, povero di creatività, povero di talento ma spacciato per alternativa qualitativamente valida e chi rimane fedele ai big e ai ragazzi, intercambiabili, usciti dai talent show e quant’altro la programmazione radiofonica utilizzi per bombardare i crani su base quotidiana. In mezzo a questa enorme spaccatura, sono cresciuti, come un fiore che spunta nell’asfalto crepato, i Calibro 35.

Gabrielli e soci continuano ad andare avanti imperterriti e questo Decade, ancora una volta un album senza sbavature, compositivamente ardito e sempre con un orecchio alla cinematica che li ha caratterizzati dagli esordi, introduce una collaborazione con un altro progetto di Gabrielli, gli Esecutori di Metallo su Carta, che aggiungono al già ricco suono della band un’ulteriore profondità, che si traduce in un suono arioso anche in pezzi come ArchiZoom che, arrangiamento a parte, poteva benissimo far parte dei duri poliziotteschi dei primi due album, o in Modo, liquida e leggera.

Ma, parlando di poliziotteschi, se qualcuno pensasse che i Calibro si siano fermati a quel pur intrigante mondo, sbaglierebbe e di grosso: “Decade” offre una straordinaria prova di duttilità per la band, che riesce a passare dal funk/jazz dell’apripista Psycheground al romantico/psichedelico finale di Travelers senza mai dare l’impressione di star facendo una macedonia di suoni sconnessi, ma con estrema naturalezza.

Nello sperare che i Calibro continuino ancora per altri cent’anni a proporre musica di alto livello, speriamo anche che non siano solo i rapper americani ad ascoltarli (come Jay-Z e Dr. Dre, che ne hanno usato dei pezzi come sample in alcuni loro brani), ma una nuova generazione di musicisti che possa avere come scopo non il successo (né quello effimero del talent, né quello duraturo dei Tiziano Ferro), non i soldi, non lo status di chi viene citato dalle pagine Facebook, ma semplicemente quello di dire qualcosa attraverso la musica.

(2018, Record Kicks)

01 Psycheground
02 SuperStudio
03 Faster Faster!
04 Pragma
05 Modulor
06 ArchiZoom
07 Ambienti
08 Agogica
09 Polymeri
10 Modo
11 Travelers

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.