
L’omonimo debutto che nel 2022 aveva portato alla ribalta il nome degli inglese Caroline, era piaciuto perché palesava un modo molto personale di mettere insieme spunti e suggestioni. Tantissima narcolessia di scuola slowcore, un po’ di trame strumentali accartocciate su se stesse, poi violini, acustica e solo di rado qualche progressione un po’ più spinta, in pratica niente di ciò che negli ultimi tempi va per la maggiore a Londra (leggasi: post punk e affini), la metropoli in cui bazzicano. E poi sì, c’era anche lì un po’ di folk, proveniente dalle radici geografiche del collettivo ma anche dalla natura stessa di collettivo dei Caroline. Ma quelle radici, quei suoni acustici e rarefatti che nell’esordio erano soltanto un elemento in mezzo a dell’altro, sono diventati adesso la colonna portante di questo self titled parte seconda, per l’appunto Caroline 2.
La sublimazione di slowcore, post rock e folk che i Caroline hanno messo in piedi in questo disco è, per larghi tratti, qualcosa di davvero luccicante. Prendi When I Get Home, che fonde pochi accordi a una melodia agrodolce, le voci passate all’autotune a dare un tocco di modernità , il cuore che ti si scalda mentre l’ascolti e ti porta a desiderare il pezzo non finisca mai, nonostante vada già poco oltre i sei minuti di durata. Che però sembrano davvero un attimo, nonostante la ripetitività del flusso, tanta è l’intensità che trasmette. Che è un po’ l’essenza stessa dell’intero progetto Caroline, che ruota tutto intorno alle emozioni, all’intensità dei sentimenti (variabili) portati all’attenzione dell’ascoltatore, intorno a un cuore che batte lento e accelera quando deve per sorprenderti nel petto.
Il crescendo che porta l’iniziale Total Euphoria a diventare sul finale un post rock bello e buono è una faccia della medaglia, una medaglia che sull’altra faccia ha invece la delicatezza dei fiati corrucciati che infarciscono il pop folk di Tell Me I Never Knew That, brano in cui compare l’interessante featuring di Caroline Polachek, un’altra che in quanto a stare con due piedi in una scarpa sa ampiamente il fatto suo. Ma è tutto l’album a sorridere sornione mentre con una mano t’accarezza (come nel flebile romanticismo di Coldplay Cover, che ovviamente non è una cover di Chris Martin e soci, così come Song Two non lo è dei Blur) e con l’altra ti schiaffeggia (come in Two Riders Down), mentre i violini che nell’esordio erano spesso in primo piano si nascondono qui furbi, mentre clarinetto, banjo e un approccio sempre tendente alla sperimentazione si fanno largo con estrema facilità .
Incredibilmente i Caroline sono riusciti a trasformare un buon gruppo fatto da musicisti con buone idee in un collettivo in cui ciascuno sembra davvero veleggiare nella stessa direzione, prendendo il meglio da ciò che li ha ispirati e continua a ispirarli, amalgamandolo a dovere in un corpo unico che è la forma disco. Un risultato, questo, affatto scontato vista la natura stessa di un progetto come il loro che coinvolge così tanti elementi. Se il self titled era quindi un buon punto di partenza, per certi versi addirittura ottimo, “Caroline 2” non può che esserne la sua esaltazione, e visto il livello potrebbe verosimilmente non rimanere l’apice di questi otto ragazzi.
2025 | Rough Trade
IN BREVE: 4/5