Home RECENSIONI Desert Sessions – Vols. 11 & 12

Desert Sessions – Vols. 11 & 12

Si scrive Desert Sessions, si legge Josh Homme. Dal 1997, anno in cui si registrarono le prime session, il mattatore Homme di musicisti passati per i Rancho de la Luna Studios di Dave Catching ne ha collezionati: tra sodali di lunga data e passaggi occasionali si annoverano, tra i vari, Matt Cameron, Brant Bjork, Josh Freese, PJ Harvey, Jesse Hughes, Alain Johannes, Mark Lanegan, Twiggy Ramirez, Joey Castillo, Nick Oliveri, Troy Van Leeuwen. Tutti tenuti insieme dal collante artistico del leader dei Queens Of The Stone Age, trait d’union di queste desertiche incisioni.

Tuttavia, nonostante i floridi inizi (1997-2003) da cui sono derivati cinque dischi per dieci volumi, lo iato dall’ultima sessione è durato ben sedici anni. Un lasso temporale in cui Homme si è comunque dato da fare: ha sfornato validi dischi con i QOTSA e i Them Crooked Vultures, innumerevoli sono state le collaborazioni con altri artisti e ha anche prodotto dischi di assoluto valore – su tutti “Humbug” (2009) e “AM” (2013) degli Arctic Monkeys. Nel dicembre del 2018 il buon Josh ha riunito un po’ di colleghi per dare vita al seguito dei volumi 9 e 10, e per l’occasione si sono ritrovati negli studi californiani di Catching: Billy F. Gibbons (ZZ Top), Jake Shears (Scissor Sisters), Mike Kerr (Royal Blood), Les Claypool (Primus, The Claypool Lennon Delirium), Stella Mozgawa (Warpaint) e l’attore Matt Berry. Il risultato è un divertissement di una mezz’oretta in cui si è cercato di riannodare il filo dei volumi precedenti: godereccio desert rock – nomen omen – con inserti sonori che strizzano l’occhio alla psichedelia, senza però prendersi mai troppo sul serio.

In “Arrivederci Despair” e “Tightwads & Nitwits & Critics & Heels” – sono questi i titoli dei Vols. 11 & 12 – la produzione di Homme sembra essere una sintesi del suo percorso artistico degli ultimi quindici anni: abbandonati i territori plasticosi sondati con l’ultimo lavoro dei QOTSA (“Villains” del 2017), ritrova familiarità con sonorità più rodate, ben rappresentate da quelle accelerate chitarristiche graffianti diventate suo personalissimo marchio di fabbrica. Questo lo si riscontra nell’iniziale Move Together, in cui, dopo ilflirt prolungato tra la voce rugosa di Gibbons dei ZZ Top e un loop elettronico, si staglia la sciabola a sei corde di Homme con il suo riff tagliente, prima di zittirsi e ritornare in maniera più groovosasul finale del pezzo.

Altrettanto catchy è il sound di Noses In Roses, Forever, caratterizzato dagli scambi chitarristici tra Gibbons e Homme, teatro di telluriche variazioni sul tema, un po’ garage, un po’ desert. La strumentale Far East For The Trees è costruita sulle vibrazioni metalliche della chitarra resofonica di Homme, dimostrandosi un highlightdi marca country blues. La ballata desertica If You Run è affidata alle languide linee vocali di una non meglio identificata Libby Grace, mentre Mike Kerr dei Royal Blood cavalca vocalmente i sostenuti tratti power garage di Crucifire.

Proprio perché Homme e i suoi non riescono a prendersi realmente sul serio,c’è spazio anche per momenti più ridanciani: è il caso di Chic Tweetz, dove uno scambio di battute su un amore non ricambiato tra il comico Matt Berry e uno sconosciuto Töôrnst Hülpft (Dave Grohl o Trent Reznor sotto mentite spoglie?) si innesta su synth da videogames. Le conclusive Something You Can’t See,cantata da Jake Shears degli Scissor Sisters, ed Easier Said Than Done, che ricorda in più momenti “…Like Clockwork” (2013) dei QOTSA,rinsaldano il concetto della versatilità scrittoria di Homme, qui alle prese con un songwriting più melodico e onirico.

Dopo più di tre lustri, il rischio che la formula adoperata per i precedenti volumi risultasse stantia e poco naturale era alto, soprattutto perché le Desert Sessions nascevano come un incontro defaticante più che canonicamente creativo. Tuttavia, nonostante l’inversa proporzionalità tra il tempo trascorso dall’ultimo lavoro e la durata dei volumi 11 e 12, Homme e i suoi sodali riescono nell’intento di rispettare la tradizione senza far risuonare il tutto come ammuffito e superato. In definitiva, il padrone del deserto recita il suo mantra e gli accoliti scelti sembrano seguirlo in tutto e per tutto.

(2019, Matador)

01 Move Together
02 Noses In Roses, Forever
03 Far East For The Trees
04 If You Run
05 Crucifire
06 Chic Tweetz
07 Something You Can’t See
08 Easuer Said Than Done

IN BREVE: 3,5/5

Nasco a S. Giorgio a Cremano (sì, come Troisi) nel 1989. Cresco e vivo da sempre a Napoli, nel suo centro storico denso di Storia e di storie. Prestato alla legge per professione, dedicato al calcio e alla musica per passione e ossessione.