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Feist – Pleasure

Dev’essere complicato per un artista provare a scrollarsi di dosso il lascito di un brano, una hit, il cui successo è andato, volente o nolente, oltre ogni possibile immaginazione: dieci anni fa a Feist è successo esattamente questo con “1234”, fra chart e spot tv senza neanche il tempo di abituarcisi. Dopo “The Reminder”, Leslie c’aveva già provato già nel 2011 con “Metals” a distaccarsi da sonorità easy listening, iniziando un percorso di riacquisizione della propria identità.

Poi sei anni di silenzio, sei anni di vita e riflessione che la songwriter canadese condensa adesso in questo Pleasure. È un album di scelte il suo quinto sigillo discografico, scelte anche drastiche evidenziate fin dalla title track che apre il disco: suoni sporchi, quasi da presa diretta, con un piglio à la PJ Harvey degli esordi che la dice lunga sulle sue intenzioni e su quanto Feist sentisse la necessità di essere il più cruda e diretta possibile, senza sovrastrutture mentali, liriche e musicali.

È un lavoro spigoloso “Pleasure”, se scavi a fondo e ti lasci cullare dalle sue imperfezioni, ma la delicatezza che ci mette Leslie in episodi come Get Not High, Get Not Low o Baby Be Simple ricopre il tutto con un manto vellutato che rende l’ascolto decisamente meno ruvido. Rispetto a “Metals” il pianoforte viene totalmente meno, la Feist di “Pleasure” è prevalentemente acustica come in I Wish I Didn’t Miss You che a struggersi ci mette appena venti secondi.

Ma c’è dell’altro, Feist non si lascia più ingabbiare da chicchessia, neanche da se stessa, quindi ecco l’amore adolescenziale di Any Party, che punta un po’ ai Sessanta e a Joni Mitchell, i flebili fiati di Colin Stetson ad impreziosire The Wind, l’altro tocco harveyano che è Century, con lo spoken di Jarvis Cocker nel mezzo, il fare blueseggiato di I’m Not Running Away e quello souleggiato della conclusiva Young Up. Con i Mastodon che schizzano fuori come inciso nel finale di A Man Is Not His Song, a giocare col testo stesso del brano.

Si dice che in certi casi il tempo è un cura, e di trascorrere del tempo e sogni infranti (Lost Dreams) è ciò che parla Feist in “Pleasure”. Qui da curare c’erano un’intimità graffiata e un’arte forse abusata dal Dio business: Feist negli ultimi sei anni ha lasciato che ogni ferita si rimarginasse, partorendo undici tracce estremamente personali, solitarie, che sono un piacere da ascoltare e non soltanto per una forzata parafrasi del titolo del disco.

(2017, Universal)

01 Pleasure
02 I Wish I Didn’t Miss You
03 Get Not High, Get Not Low
04 Lost Dreams
05 Any Party
06 A Man Is Not His Song
07 The Wind
08 Century (feat. Jarvis Cocker)
09 Baby Be Simple
10 I’m Not Running Away
11 Young Up

IN BREVE: 4/5