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Field Music – Making A New World

La verità è che ne stiamo parlando in maniera compiuta e definitiva solo adesso. Ci sono voluto vent’anni prima che ci rendessimo conto che il 1900, il secolo che ha condizionato la cultura “pop” più che ogni altro precedente perché è stato il primo a essere “globale” nonché il primo a lasciare tracce destinate a restare, sia finito e che si è aperto un nuovo secolo con regole che sono completamente differenti da quelli precedenti.

In questo ultimo periodo ho letto molto al riguardo: ci sono i nostalgici, è evidente, quelli che “prima” era sempre meglio e ci sono quelli che adesso dicono che non vedevano l’ora di lasciarsi alle spalle un secolo terribile e spaventoso. La verità sta nel mezzo: il secolo scorso come dicevo, ci ha lasciato una quantità di contenuti come mai nessun altro prima, io stesso mi considero formato all’insegna di un patrimonio che affonda in esso le sue radici e, senza celebrare il tempo passato, ne rivendico il valore e la somma complessiva. In ogni caso il cosiddetto “cambiamento” non equivale a “progresso”, e solo questo da un punto di vista storico è accettabile.

Un grosso lavoro di superamento di quegli spaventosi grandi eventi che sono state le due guerre mondiali, rappresentazione più forte degli orrori del 1900, è stato comunque ampiamente dibattuto già nella seconda metà del secolo scorso. Non c’era bisogno della “rivoluzione digitale” oppure di tutto quello che è quattro punto zero. Almeno per quello che riguarda l’Occidente e la nostra “narrazione” classica o comunque scolastica. Pure se la memoria è breve.

In campo musicale il tema della “grande guerra” è stato già affrontato diverse volte e questo nuovo disco dei fratelli David e Peter Brewis aka Field Music (qui una band composita con Liz Corney a voce e tastiere, Kev Dosdale alle chitarre, Andrew Lowther al basso) affronta la storia secondo una prospettiva diversa da quella solita. Il disco, Making A New World nasce – diciamo così – su commissione dell’Imperial War Museum a seguito di una performance di inizio 2019, accompagnata anche da “visioni” realizzate proprio da Kev Dosdale. È una raccolta di storie da fine della guerra, il ritorno a casa, figure simbolo come quella del dottor Harold Gillies (cui è dedicata la ballad A Change Of Heri) e altre diverse che affrontano il tema in maniera più originale e “metaforica”, il movimento dadaista e fino ai giorni d’oggi quando, nel 2010, l’impiegato del ministero del tesoro tedesco prepara i documenti per il pagamento dell’ultima rata dei debiti di riparazione di Versailles.

Spazio alla musica però adesso, che si intreccia chiaramente al concept e ai contenuti già discussi: il disco è una sorta di rilancio per i Field Music, perché concepito per essere suonato da una band e perché ha una struttura narrativa che è una specie di flusso continuo in cui le diciannove tracce si succedono una dietro l’altra senza interruzioni. Particolarmente sottolineata, al solito, la vicinanza agli XTC di Andy Partridge e Colin Moulding, è innegabile in ogni caso l’imprinting wave di fondo, che evoca suoni anni Ottanta, a tratti pure un sound Talking Heads (Best Kept Garden, soprattutto If The Wind Blows Towards The Hospital e Only In A Man’s World) ma ci sono ambizioni che richiamano il progressive più intellettuale degli anni Settanta, quello Pink Floyd e mescolato con il drammatismo di Bill Fay e l’eccentricità di Luke Haines.

Ritornando “a bomba” (è proprio il caso di dirlo…) sui Pink Floyd, se dovessi trovarvi un parallelo non potrei che menzionare “The Final Cut” (1983), il disco solista per eccellenza di Roger Waters e forse il suo lavoro migliore, di cui quest’album è in fondo un’appendice. Abbiamo da imparare da tutte le storie che riguardano il nostro passato, dove “noi” significa la collettività: questo è l’invito di un disco che non è composto da canzoni memorabili ma che è ingegnoso e ha contenuti, un qualcosa non destinato a lasciare il segno nel pop di quest’anno ma che è allo stesso tempo una traccia che per il presente e per il tempo futuro.

(2020, Memphis Industries)

01 Sound Raging
02 Silence
03 Coffee Or Wine
04 Best Kept Garden
05 I Thought You Were Something Else
06 Between Nations
07 A Change Of Heir
08 Do You Read Me?
09 From A Dream, Into My Arms
10 Beyond That Of Courtesy
11 A Shot To The Arm
12 A Common Language Pt 1
13 A Common Language Pt 2
14 Nikon Pt 1
15 Nikon Pt 2
16 If The Wind Blows Towards The Hospital
17 Only In A Man’s World
18 Money Is A Memory
19 An Indipendent State

IN BREVE: 2,5/5

Sono nato nel 1984. Internazionalista, socialista, democratico, sostenitore dei diritti civili. Ho una particolare devozione per Anton Newcombe e i Brian Jonestown Massacre. Scrivo, ho un mio progetto musicale e prima o poi finirò qualche cosa da lasciare ai posteri. Amo la fantascienza e la storia dell'evoluzione del genere umano. Tifo Inter.