Home RECENSIONI Halsey – If I Can’t Have Love, I Want Power

Halsey – If I Can’t Have Love, I Want Power

I tempi sono maturi per l’ex ragazza tumbleriana dai capelli blu che inneggiava alla libertà in “New Americana”: Halsey, al secolo Ashley Frangipane, nota per i singoli d’impatto di matrice elettropop e arena pop, le tante collaborazioni e il suo grande impegno come attivista, ha effettuato un importante cambio di rotta rispetto al suo ultimo lavoro in studio “Manic” (2020). If I Can’t Have Love, I Want Power è un vero e proprio inno femminista, giocato su vari dualismi riguardanti l’essere donna, tra cui le gioie e “gli orrori” del diventare madre, e immerso in sonorità che intrecciano industrial rock e alternative pop. L’artista ha sempre parlato di sé senza filtri, maturando una maggiore confidenza con il suo pubblico di disco in disco, e il singolo cupo pubblicato un paio di anni fa “Nightmare” può essere considerato il ponte ideale tra la produzione precedente e quella attuale.

Come accaduto pochi mesi fa per la svolta di Taylor Swift, il tassello decisivo è stato l’avvalersi, per quanto concerne la parte relativa a sound e songwriting condiviso, di producers stellati. Nel caso di Halsey la scelta è caduta sulla premiatissima ditta Trent Reznor-Atticus Ross, con i quali ha portato avanti un progetto da remoto, registrato tra le isole Turks e Caicos e Los Angeles. Nulla è stato trascurato nemmeno dal lato visivo: le tracce di forte impatto cinematografico sono state studiate per diventare la colonna sonora di un film, scritto dalla cantautrice e realizzato insieme al regista Colin Tilley per il lancio dell’album, dove i costumi di scena e i trucchi teatrali rimandano subito all’oscurità e alle ambiziose fatiche di Grimes e Björk.

Ispirata all’opera di epoca rinascimentale “Madonna del latte in trono col Bambino” di Jean Fouquet, la copertina del disco, come dichiarato dalla stessa artista, “celebra i corpi in gravidanza e dopo il parto come qualcosa di bello, da ammirare. Abbiamo una lunga strada da percorrere per sradicare lo stigma sociale intorno ai corpi e all’allattamento al seno. Spero che questo possa essere un passo nella giusta direzione”. Ovviamente siamo così lontani dal riuscire ad assimilare un concetto del genere che la cover è stata subito considerata tabù. Vedere ancora un’immagine censurata dal mondo intero per un seno non è la cosa più sorprendente del creato, ma quella più comica la è sicuro, e a giudicare dall’assurda polemica montata pochi giorni fa intorno alla copertina di “Nevermind” dei Nirvana, non sarà né il primo né l’ultimo episodio che ci farà rimanere attoniti.

Tra i pezzi più interessanti spiccano il singolo di promozione I Am Not A Woman, I’m A God e le influenze r’n’b dell’altrettanto autobiografica Lilith, oltre alla più pesante, sinistra e rumorosa The Lighthouse, che con i suoi riff distorti in pieno stile industrial appare come una vera e propria firma da parte dei produttori. Vi sono anche brani minimali e d’effetto, con piano d’accompagnamento e poco altro, come l’apertura spettrale e al contempo trionfale, quasi religiosa, del manifesto di emancipazione femminile The Tradition, arricchita da leggeri archi sintetici nel finale, il lento crescendo elettronico di Bells In Santa Fe, la scoperta della maternità e il senso di attesa di 1121, e la linea di basso della lettera d’amore al bimbo appena nato e al partner Ya’aburnee, ovvero “seppelliscimi” in arabo levantino.

Il noise pop/rock dell’echeggiante You Asked For This e le ritmiche serrate e i nervi a fior di pelle di Easier Than Lying sono entrambi incentrati sui concetti di indipendenza e società patriarcale, mentre la dolce ninna nanna acustica Darling è nuovamente rivolta al figlio della cantautrice e vede alla chitarra Lindsey Buckingham (ex Fleetwood Mac). Vi è spazio anche per il pop d’avanguardia di Girl Is A Gun, il piano hip hop della personale Whispers, che ha come tema la salute mentale, e il pop punk di Honey, che rimanda alle recenti collaborazioni con Yungblud e Machine Gun Kelly, dove a sedere alla batteria è un altro ospite d’eccezione, Dave Grohl. Ambizione, mitologie, simbolismo e grande cura per i dettagli sono i termini chiave di “If I Can’t Have Love, I Want Power”, un concept dove, ancora una volta, l’accento è posto sull’importanza e la potenza degli argomenti trattati dall’artista e di una produzione da Oscar (letteralmente) che fa la differenza.

(2021, Capitol)

01 The Tradition
02 Bells In Santa Fe
03 Easier Than Lying
04 Lilith
05 Girl Is A Gun
06 You Asked For This
07 Darling
08 1121
09 Honey
10 Whispers
11 I Am Not A Woman, I’m A God
12 The Lighthouse
13 Ya’aburnee

IN BREVE: 4/5

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.