Era un po’ nel destino – e immaginiamo soprattutto nelle intenzioni – di Harry Styles provare la carta della carriera solista. Già in quel The X Factor UK del 2010 il giovanotto s’era presentato in solitario, dapprima eliminato e poi ripescato e messo insieme ad altri quattro ragazzi per formare i One Direction. Di lì in poi la storia è nota a tutti: cinque album, tour mondiali, sold out a iosa e l’adorazione maniacale di milioni di ragazzine.
Quel belloccio con una voce ancor più bella, però, a firmare qualcosa a proprio nome ha continuato a pensarci, così giusto il tempo di riprendere fiato dopo lo scioglimento del quintetto ed ecco che Styles si ripresenta come probabilmente avrebbe sempre voluto debuttare: con un album self titled che del pop da pop idol dei One Direction ha davvero poco.
Senza lanciarsi in chissà quale arzigogolata ricerca della novità ad ogni costo, Styles pubblica dieci tracce di pop rock cantautorale che non sfigurano affatto al cospetto di più quotati colleghi di genere. Il singolo apripista, che ha scalato le chart mondiali, è la ballatona Sign Of The Times: suoni ovattati, aperture ariose, pianoforte e qualche chitarra eighties in lontananza. E il gioco di Harry Styles è fondamentalmente questo per tutto il disco, ovvero puntare sull’usato sicuro, tanto proprio (la sua voce è sempre in primo piano in ogni passaggio) quanto altrui (i punti di riferimento di cui stiamo per parlarvi).
A dispetto della giovane età, il gusto dell’inglese sta dalle parti di mostri sacri che farebbero tremare le gambe a chiunque al solo nominarli: ad esempio le percussioni morbide di Ever Since New York, così come la stessa intonazione assunta da Styles, girano intorno a certi U2; poi (e qui siamo consapevoli di andarci giù pesante) ci sono i Beatles che fanno capolino qua e là, ad esempio in Carolina e Sweet Creatures, un pulsare funkeggiante stile Prince in Woman e persino dei Rolling Stones con alla voce Rod Stewart in Only Angel.
Ma non è tutto: lo sguardo di Styles s’è poggiato anche su produzioni più recenti, vedi la psichedelia liquida e appena accennata à la Wilco dell’iniziale Meet Me In The Hallway (uno degli episodi migliori del lotto), l’indie rock di scuola Arctic Monkeys di Kiwi e l’indie folk di stampo più americano che inglese di Two Ghosts e From The Dining Table.
Al contrario di quanto fatto dal compagno di boy band Zayn Malik, mantenutosi su territori ampiamente mainstream sebbene più maturi, Harry Styles ha sorpreso con un album che non brilla di luce propria al 100% ma rappresenta un interessante viatico per uscire indenne dall’esordio solista e ampliare sensibilmente il proprio spettro musicale. Promosso.
(2017, Erskine / Columbia)
01 Meet Me In The Hallway
02 Sign Of The Times
03 Carolina
04 Two Ghosts
05 Sweet Creature
06 Only Angel
07 Kiwi
08 Ever Since New York
09 Woman
10 From The Dining Table
IN BREVE: 3,5/5