
Ormai da un paio d’anni i puristi dell’hardcore hanno mollato i Turnstile, proprio nel momento − in realtà per questo motivo − in cui la formazione di Baltimora ha iniziato a scalare le vette della popolarità, complice un evidente e sensibile ammorbidimento e una ricerca sonora che è andata a sfruttare un moto centrifugo che li ha allontanati sempre più dalle proprie origini. A prescindere dall’essere d’accordo o meno con le osservazioni mosse ai Turnstile, sono inequivocabili i risvolti positivi che una band come la loro sta avendo nell’ambiente, fosse per i messaggi lanciati o anche solo per l’essere riusciti ad avvicinare all’hardcore, al post hardcore, intere nuove generazioni che altrimenti forse non avrebbero mai sentito parlare di questa roba.
L’altro risvolto positivo dell’ascesa dei Turnstile è che, oltre ai già citati neo-fruitori del genere, anche tantissimi altri giovani musicisti hanno iniziato a cavalcarne l’onda. Gli ultimi della serie sono gli scozzesi Humour, che arrivano al loro esordio sulla lunga distanza, Learning Greek, dopo un paio di EP in cui si erano mostrati decisamente più grezzi, marciando adesso sullo stesso sentiero di alleggerimento dei Turnstile. “Learning Greek”, infatti, poggia su basi melodiche importanti, che avvicinano tantissimo la formazione di base a Glasgow a leggende come i Touché Amoré, che hanno fatto di una continua ricerca melodica il loro baluardo compositivo. Anche loro sempre in barba ai piagnistei dei puristi.
Agli Humour tutto questo riesce in modo genuino, sì, ma solo in parte. Le urla dei primi secondi dell’iniziale Neighbours si perdono poi nel corso della traccia in riverberi ai confini dello shoegaze, poi c’è Plagiarist che sembra come se i Weezer si fossero messi a fare post punk, c’è il velocissimo spoken della title track, c’è Die Rich che pare fatta per un dj set indie rock di quelli tanto in voga nei primi anni 2000, mentre nel mezzo del disco s’insinuano un paio di passaggi in cui (più che altrove) non si capisce da che parte potrebbero decidere di andare gli Humour, come In The Paddies. Tanta carne sul fuoco degli Humour, non tutta cotta a dovere.
Sempre sulla scia dei Touché Amoré e della scrittura di Jeremy Bolm, anche il frontman − nonché autore principale − Andreas Christodoulidis incentra su se stesso tutti i testi di quest’esordio degli Humour. La sua discendenza greca (com’era facile evincere dal titolo del disco ma soprattutto dalle sue generalità), la voglia giunta a un certo punto della vita di imparare quella lingua appartenuta ai suoi avi, le difficoltà nel riscoprirsi straniero in un posto in cui si è nati. Niente di particolarmente profondo, occorre dirlo, specie se confrontato con la sofferenza palpabile di Bolm, ma di certo un buon gancio tematico che era giusto sfruttare. Ma quel tipo di profondità, che si addice dannatamente all’accostamento tra hardcore e melodie dolciastre che gli Humour hanno scelto, quello manca e c’è poco da fare.
In definitiva questo debutto degli Humour è un disco ben fatto che però lascia sempre in bilico sul ciglio del burrone: a tratti viene voglia di avere al più presto dell’altro a seguire questo “Learning Greek”; al tempo stesso, però, suggerisce anche una certa non piacevolissima sensazione di autoconclusività, come se fosse complicato intravedere dove potrà andare a parare la band superato questo primo sfogo psicanalitico di Christodoulidis. Nell’attesa di capirci di più e assistere alle loro prossime mosse, promuoviamo con riserva gli Humour e questo a tratti confusionario “Learning Greek”.
2025 | So Young
IN BREVE: 3/5
