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Iceage – You’re Nothing

Post punk potente, sicuro di sé, che cede a pochi compromessi ma soprattutto tanto, tanto rumore. Gli Iceage, dopo un debutto che ha convinto pubblico e critica, “New Brigade”, inciso quando l’età media delle band oscillava tra i 17 e i 18 anni, danno alle stampe un nuovo lavoro, You’re Nothing, che in una manciata di minuti riesce a far dimenticare la loro prima prova discografica riconfermando che dalle parti di Copenhagen c’è della rabbia che aspetta solo di essere convertita in onde sonore. Tralasciando la citazione sicuramente non casuale dei Joy Division, dalla band di Salford ereditano un’accusa che non può passare certamente inosservata, ovvero quella di simpatie filo-naziste.

La band si è ovviamente detta estranea a quanto affermato dalla stampa e dal pubblico, anche se alcune pratiche a onor del vero piuttosto curiose, come la vendita di coltelli durante i loro concerti, non hanno fatto altro che gettare mistero sulla band danese, che forse si è guadagnata buona parte della sua popolarità con questo puerile espediente. Tralasciando le critiche facili e puntando il faro sui meriti artistici degli Iceage, “You’re Nothing” mette sul piatto una tracklist di 12 brani ben amalgamati tra di loro, che danno a tutta l’opera, salvo sporadiche occasioni, una colorazione che oscilla tra il dark e il punk, complice sicuramente la tecnica di registrazione volutamente lo-fi che ammanta tutto il lavoro di decadente fascino. Gli episodi più brillanti del disco, come Coalition o Everything Drifts, evidenziano sicuramente l’evoluzione stilistica che li ha traghettati dal precedente lavoro a quest’ultimo.

Alcuni brani come Rodfaestet ricordano un po’ il punk della scuola evangelizzata dai NOFX che, a parere di chi scrive, non è esattamente il territorio dove gli Iceage danno il meglio. La sorpresa del disco arriva dopo il primo giro di boa con Morals, cover di un brano portato al successo dall’incantevole Mina nel 1965. La reinterpretazione curiosa e coraggiosa di questo storico brano sicuramente rende onore alla band, che ha saputo confrontarsi con una realtà musicale distante anni luce da quella dove abitualmente si muove. Un disco che non sconvolge né tantomeno si pone come pietra miliare del genere, ma che piuttosto afferma la crescita musicale del gruppo danese.

(2013, Matador)

01 Ecstasy
02 Coalition
03 Interlude
04 Burning Hand
05 In Haze
06 Morals
07 Everything Drifts
08 Wounded Hearts
09 It Might Hit First
10 Rodfaestet
11 Awake
12 You’re Nothing