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Jack White – Blunderbuss

Spesso, troppo spesso, Jack White è stato accostato a mostri sacri quali i Led Zeppelin, osannato come il messia vivente – e praticante – del rock mondiale. Accostamenti che, francamente, hanno dato e danno molto fastidio. Vuoi perché assolutamente fuori luogo, vuoi perché sminuenti nei confronti delle produzioni stesse di White, che meriterebbero una considerazione che riuscisse ad andare oltre i parallelismi storici. Al contempo, però, è anche vero come il buon Jack abbia fatto davvero poco per distanziarsi dalla cosa, in primis per quella voce un po’ stridula che sembra presa in prestito proprio da Robert Plant e in secondo luogo per un approccio decisamente classico alla sei corde. Ma se coi White Stripes o coi Raconteurs tanti altri elementi contribuivano ad arricchire e rendere vario il prodotto finale, in questo Blunderbuss che lo fa esordire da solista non c’è molta altra roba a mischiare le carte. Da cima a fondo delle tredici tracce che lo compongono, “Blunderbuss” è blues rurale, è folk d’annata (ovvero: nulla di assimilabile al neo-folk commistionato d’elettronica dei giorni nostri), è country sincero e genuino. Registrazioni volutamente sporche, come quelle di I’m Shakin’ o I Guess I Should Go To Sleep, che richiamano alla perfezione la vecchia scuola sudista americana, nonostante l’artificiosità dell’effetto “vintage” sia piuttosto evidente (a meno che White non abbia inciso i brani nel ’66, ben nove anni prima di nascere). L’elettricità è limitata al minimo indispensabile, laddove è resa necessaria da un ritmo più incalzante (Sixteen Saltines), mentre per il resto è la dimensione acustica a farla da padrona, dal singolo Love Interruption alla title track passando per lunghi momenti in tutto l’album. C’è un po’ di pianoforte sparso qua e là (Hypocritical Kiss, Take Me With You When You Go), a volte anche westernato (Trash Tongue Talkers), e l’impressione generale è che Jack White si sia divertito davvero molto ad incidere questo lavoro, praticamente una collezione delle sue influenze, un tributo a se stesso e alla sua formazione musicale. Il che, visto il risultato, non dispiace. Ciò non toglie, però, che “Blunderbuss” vada rubricato alla voce “esercizio di stile” e che i Led Zeppelin debbano essere lasciati al loro posto.

(2012, Third Man)

01 Missing Pieces
02 Sixteen Saltines
03 Freedom At 21
04 Love Interruption
05 Blunderbuss
06 Hypocritical Kiss
07 Weep Themselves To Sleep
08 I’m Shakin’
09 Trash Tongue Talker
10 Hip (Eponymous) Poor Boy
11 I Guess I Should Go To Sleep
12 On And On And On
13 Take Me With You When You Go

A cura di Emanuele Brunetto