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Jake Bugg – Hearts That Strain

Facciamo un breve riepilogo: correva l’anno 2012 e Jake Bugg, ragazzino di Nottingham appena diciottenne, vantava già una partecipazione a Glastonbury come artista esordiente, la pubblicazione del suo album di debutto autobiografico (600.000 copie solo nel Regno Unito) raccontava storie di alcool, droga e il desiderio di sfuggire al proletariato inglese, seducendo il pubblico con il suo folk rock elegante, genuino e raffinato.

Aveva catturato l’attenzione persino di Noel Gallagher, persona notoriamente poco incline ai complimenti, riuscendo a essere il suo opening act. Proprio in quell’occasione, il giovane ragazzo procurò un dolore all’artista, che si accorse come il songwriter non fosse l’unico l’autore dei testi dell’album. Con “Shangri La” (2013), prodotto niente meno che da Rick Rubin, iniziò a dare segni di squilibrio per poi assestare il colpo finale con l’uscita di “On My One” (2016), la cui confusione artistica finì per sbiadire sempre più il ricordo di un debutto scintillante. Bene, Hearts That Strain conferma un percorso confuso e poco esaltante, che dimostra la poca versatilità di un artista forse ancora troppo giovane. Ed è un peccato, se si pensa che pezzi come e Broken, Slide, Two Fingers e Country Song, minimali ma cristallini, sono delle piccole meraviglie da riascoltare per mitigare momenti di sconforto vari ed eventuali.

“Hearts That Strain” nelle settimane precedenti l’uscita aveva fatto trapelare particolari sulle collaborazioni e sulla produzione che permettevano al pubblico di sperare in un album degno del debutto, con l’aggiunta di una crescita personale e musicale che in cinque anni poteva concretizzarsi. E invece no, niente da fare: non è servita a molto la partecipazione di Dan Auerbach, se non a salvare Burn Alone e In The Event Of My Demise, con linee scure e armonie dissonanti rispetto ai testi, che insieme a Indigo Blue sono tra le pochissime tracce degne di nota di tutto l’album. Elemento, quest’ultimo, che risalta maggiormente in How Soon Is Dawn, singolo che ha anticipato l’uscita del disco, che riesce a salvarsi se non altro per la raffinatezza della chitarra di Dan Auerbach, essenziale, pura, grezza ma mai anacronistica.

Non ci riescono neanche Gene Chrisman (batteria) e Bobby Woods (tastiere), storici turnisti degli American Sound Studio di Memphis e collaboratori anche dell’album da solista di Dan Auerbach, “Waiting On a Song” di pochi mesi fa (il dubbio che il loro inserimento sia stata un’idea di quest’ultimo piuttosto che di Jake Bugg serpeggia inevitabilmente). A poco vale l’aria di Nasvhille, madre patria della Gibson e luogo straripante di country blues in ogni angolo di strada. Non riesce neanche David Ferguson, già produttore di “A Sailor’s Guide To Earth” (2016) di Sturgill Simpson (contenente un’incantevole cover di “In Bloom” dei Nirvana) e vincitore di un Grammy per lo stesso album.

Arrivati a questo punto, risulta vano anche il tentativo di Noah Cyrus, che duetta con Bugg in Waiting, somigliante più a un pezzone pre-natalizio di Mariah Carey o Michael Bublé più che a una traccia cantautorale. Per il resto “Hearts That Strain”, nonostante i continui richiami ai suoni e agli stili folk, pop e al rock’n’roll senza tempo dell’America degli anni ’60 e ‘70, è insipido, a tratti quasi fastidioso (il solo di sax alla fine di Waiting e la solitudine amara del cantautore consumato dal successo di The Man On Stage si tollerano a mala pena).

Più di una volta le tracce perdono terreno senza decollare mai, si avverte l’assenza di un tema, di un filo conduttore, di una coerenza, tra i contenuti, le armonie, gli arrangiamenti e il punto di vista dell’artista. Dopo un tale mix di artisti, luoghi, musicisti, co-autori, si finisce per chiedersi inevitabilmente: Jake Bugg chi è, dov’è stato, dove sta andando? Una mancata risposta non sarebbe di certo un grosso problema, ma sarebbe interessante capire cosa è successo in così poco tempo a un giovane artista che fino a qualche anno fa valeva la pena ascoltare e acquistare.

(2017, Universal)

01 How Soon The Dawn
02 Southern Rain
03 In The Event Of My Demise
04 This Time
05 Waiting (feat. Noah Cyrus)
06 The Man On Stage
07 Hearts That Strain
08 Burn Alone
09 Indigo Blue
10 Bigger Lover
11 Every Colour In The World

IN BREVE: 1,5/5

Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.