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L7 – Scatter The Rats

Nonostante la loro culla fosse l’assolata Los Angeles e nonostante la loro indole fosse marcatamente punk, nella forma e nella sostanza, le L7 sono passate alla storia come l’unica vera formazione totalmente al femminile del grunge. Col Seattle-sound le quattro condividevano un certo background “pesante” e una certa propensione all’autodistruzione, e tanto bastò perché fossero inserite in quel calderone fumante.

A cavallo tra ’80 e ’90 Donita Sparks e la sua band salirono sugli stessi palchi di Nirvana, Smashing Pumpkins e il resto del gotha alternative del periodo, ritagliandosi il giusto spazio e la giusta considerazione anche grazie agli eccessi tanto sopra quanto sotto il palco (l’aneddoto del tampax usato lanciato sul pubblico è ormai leggenda, così come la promiscuità nei backstage), contribuendo in modo deciso allo sdoganamento della figura della donna in un ambiente prettamente machista.

Il loro ultimo vagito discografico risaliva al 1999 con “Slap-Happy”, una mezza delusione data quindi alle stampe la bellezza di vent’anni fa. Usiamo l’imperfetto perché le L7 sono tornate: l’hanno fatto dapprima con un documentario (“Pretend We’re Dead”), poi con un paio di singoli gettati lì un po’ a casaccio (“Dispatch From Mar-a-Lago” e “I Came Back To Bitch”), con qualche data dal vivo e adesso con Scatter The Rats, il loro nuovo lavoro in studio licenziato per la Blackheart (l’etichetta della maestra Joan Jett) che ne segna l’ufficiale rientro nei ranghi.

Non c’è spazio per le novità dalle parti delle L7: la sporcizia anthemica di Fighting The Crave è ben più di un segno distintivo, mentre il singolo Burn Baby ha quelle stimmati che hanno reso le californiane un baluardo del movimento riot grrrl. Siamo solo alle prime due tracce del disco e tutto è già stato detto e dimostrato, con il solo rallentamento di Holding Pattern a spezzare un percorso altrimenti fin troppo prevedibile per lasciare anche un piccolo segnetto.

Il ripetersi con costanza nel corso del tempo può anche essere spacciato per coerenza e magari spesso lo è, ma farlo con due decenni di silenzio nel mezzo rischia di diventare un’operazione totalmente anacronistica. Le L7 ci sono cascate in pieno perché, nonostante l’auto-citazionismo possa dirsi riuscito (e in fondo neanche così malvagio), è innegabile come l’aggressività e l’irruenza della gioventù volata via siano solo un lontano ricordo, così come certi canovacci lirici che un tempo ferivano a morte come una tigre oggi graffiano appena come un gattino.

(2019, Blackheart)

01 Burn Baby
02 Fighting The Crave
03 Proto Prototype
04 Stadium West
05 Murky Water Cafe
06 Ouija Board Lies
07 Garbage Truck
08 Holding Pattern
09 Uppin’ The Ice
10 Cool About Easy
11 Scatter The Rats

IN BREVE: 2,5/5