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Lorde – Melodrama

Se debutti a neanche diciassette anni con un disco che diventa un successo planetario, ci sta che hai bisogno di un attimo in più del necessario per riequilibrarti tanto come artista quanto, soprattutto, come essere umano. Lorde con “Pure Heroine”, nel 2013, ha inanellato numeri impressionanti che l’hanno catapultata nel mondo degli adulti senza ancora esserlo. Un mondo che ha scoperto poco a poco e in cui ha dovuto imparare a destreggiarsi: il lavoro, il saper stare su palchi anche enormi, le amicizie, l’amore.

Ecco, Melodrama in fondo è questo: la testimonianza di una ragazza di appena vent’anni che ha cominciato a capirci qualcosa di ciò che le sta succedendo, una sorta di pièce teatrale in cui con toni coerentemente al titolo melodrammatici Lorde racconta le sue vicissitudini senza troppi filtri. Non li ha quando in due ballad per piano e voce come Liability e Writer In The Dark fa emergere la malinconia agrodolce di una teenager in piena crisi, ma neanche quando i bpm aumentano come nell’opener e singolo Green Light o in Homemade Dynamite, coi loro refrain a presa rapida.

Musicalmente, i suoni sintetici trappeggianti di “Pure Heroine” fanno un piccolo passo indietro (ma ad esempio in Sober II ci stanno ancora) in favore di più classici riferimenti a una Kate Bush d’annata, il che conduce direttamente a una dimensione pop moderna che incrocia Lana Del Rey e Grimes (Supercut, Perfect Places) ma che in realtà è solo ed esclusivamente Lorde al cento per cento, che al momento porta a casa il risultato meglio di entrambe le colleghe.

Lorde sussurra e poi quasi urla, parla in prima e poi in terza persona, esplode di rabbia e si fa accondiscendente verso il passato e il presente guardando al futuro, vaneggia per massimi sistemi e poi si rivolge a dei soggetti ben identificati nella sua mente, in una confusione che nella sostanza non è altro che pura e semplice ispirazione.

Alla fine della giostra, “Melodrama” si dimostra essere un album inaspettatamente più uniforme di “Pure Heroine”, con meno alti (non c’è una “Royals”) ma anche meno bassi (presenti eccome nell’esordio), più maturo ma proporzionalmente alla reale crescita della sua autrice e non perché dopato da mani altrui (sebbene Lorde sia stata qui assistita da una squadra di produttori di tutto rispetto, fra cui spicca il richiestissimo Jack Antonoff dei Sun). Se anche David Bowie s’era sbilanciato, intravedendo in lei il futuro della musica, chi siamo noi per contraddirlo?

(2017, Universal)

01 Green Light
02 Sober
03 Homemade Dynamite
04 The Louvre
05 Liability
06 Hard Feelings/Loveless
07 Sober II (Melodrama)
08 Writer in the Dark
09 Supercut
10 Liability (Reprise)
11 Perfect Places

IN BREVE: 4/5