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Melvins – Tres Cabrones

trescabronesC’era un tempo in cui la macchina da guerra conosciuta con il nome di Melvins non prevedeva quel Dale Crover che oggi siede nell’Olimpo dei batteristi, amato e rispettato, quasi venerato (e con buona ragione). Dietro le pelli nel lontano 1983 sedeva il buon Mike Dillard, onesto batterista punk, mentre al basso si prodigava il buon Matt Lukin, poi nei Mudhoney. Poco tempo dopo aver registrato quei demo (editi nel 2005 con il nome di “Mangled Demos from 1983”) ai quali nessuna etichetta si dimostrò interessata, Mike Dillard lasciò il posto a Crover, ed è da quel punto in poi che nascono i Melvins lenti e inusitatamente pesanti che tante lodi hanno ricevuto durante la loro trentennale esperienza in giro per il mondo.

E se questa esperienza è durata proficuamente per trent’anni, dipende molto dal fatto che Buzzo e Crover hanno sempre avuto l’intelligenza di mischiare le carte in tavola per mantenere tutto interessante, per non smettere mai di divertirsi. Che poi è l’unica cosa della quale gliene frega una beatissima: divertirsi.

Questi gentili ed infaticabili signori hanno trovato nel 2006, con l’introduzione dei due Big Business Jared Warren e Coady Willis, un equilibrio raramente osservabile nella formazione melvinsiana; tuttavia sarebbe venuto meno il costante rimescolare le carte che ha sempre permeato il loro modo di fare… problema facilmente risolvibile per chi se ne sbatte di dar qualunque tipologia di conto e ragione a chiunque altro se non sé stessi. Nel 2012 hanno così introdotto per un album ed un tour (e qualche contributo all’album di cover uscito qualche mese fa, “Everybody Loves Sausages”) l’eccellente Trevor Dunn al contrabasso, chiamando la formazione Melvins Lite, ed adesso, complici gli impegni dei due Big Business, torna Dillard – già presente nell’extended play 1983 – ma non Lukin, ormai ritirato dalle scene: ergo Crover passa al basso, strumento che suonava già nei Fecal Matter di Kurt Cobain.

Chi si aspettasse con questo Tres Cabrones una riedizione di quell’hardcore punk che li caratterizzava prima dell’ingresso del geniale Crover, si troverà deluso: solo le conclusive Walter’s Lips, cover dei Lewd, e Stick Em’ Up Bitch (che include “Fascists Eat Donuts”, cover dei Pop-O-Pies), propongono un sano punk inadulterato. Per il resto, ci troviamo di fronte a qualcosa che ha il sapore di Melvins, ma che la batteria di Dillard rende differente: se gli incastri impossibili tra i riff di Buzzo e le complicatissime evoluzioni di Dale Crover hanno caratterizzato tutti e trenta gli anni della carriera del gruppo di Montesano, WA, Mike Dillard per forza di cose non può ripeterli perché non alla sua portata tecnica.

Accade dunque che il drumming straight di quest’ultimo (unito al basso talvolta persino funkeggiante di Crover, come nel caso della apripista Dr. Mule) li porti ad un risultato a metà tra lo sludge degli inizi e l’hard rock quasi zeppeliniano più recente, con incursioni nella psichedelia come nella pesantissima American Cow e nella spettacolare Dogs And Cattle Prods, che si trasforma lungo il percorso in una jam diretta dal basso di Crover, sopra il quale emerge una brillante chitarra acustica ad alleggerire la plumbea pesantezza del pezzo. Altro momento forte è senz’altro I Told You I Was Crazy, ancora un divagare psichedelico dei tres cabrones, stavolta senza concessioni di nessun tipo a schiarite, lenta come lo erano ai tempi di “Gluey Porch Treatments”.

A spezzare il ritmo ci sono poi tre folk song americane di stampo prettamente umoristico: Tie My Pecker To A Tree era già nel repertorio di Cheech And Chong, 99 Bottles Of Beer e You’re In The Army Now sono più canti da pub che classici di Pete Seeger: apparentemente una paraculata, l’oculato piazzamento di questi pezzi ad intervalli quasi regolari spezza il ritmo in maniera positiva.

Osborne e Crover dimostrano ancora una volta che la loro dedizione alla musica è assolutamente completa, e la dedizione unita alla competenza (e, diciamolo forte e chiaro, al puro e semplice genio) fa sì che nonostante la pletora di uscite il livello del prodotto finale non sia mai inferiore alle aspettative: questo “Tres Cabrones” non è un banale divertissement destinato ai fan più accaniti e a far divertire solo i musicisti coinvolti. “Tres Cabrones” è un album di tutto rispetto prescindendo da qualunque possano essere le intenzioni, un album di solidissimo hard rock e di pezzi ben scritti e ben suonati. L’unica vera lamentela la potrebbero fare i fan più pignoli, dato che più della metà dei pezzi inclusi in quest’album erano già editi, sparsi tra il citato EP del 1983 e vari singoli e 12’’ che questa prolificissima band ogni anno produce. Fatta salva questa osservazione, che del resto è pignoleria borderline dato che gran parte di questi 12’’ è irreperibile se non ai collezionisti pazienti, “Tres Cabrones” merita l’ennesimo pollice in su.

(2013, Ipecac)

01 Dr. Mule
02 City Dump
03 American Cow
04 Tie My Pecker To A Tree
05 Dogs And Cattle Prods
06 Psycho-Delic Haze
07 99 Bottles Of Beer
08 I Told You I Was Crazy
09 Stump Farmer
10 You’re In The Army Now
11 Walter’s Lips
12 Stick Em’ Up Bitch

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.