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Metronomy – Metronomy Forever

Quando si parla di un nuovo disco di Joseph Mount e dei suoi Metronomy, il confronto con quello scrigno di bellezza nostalgica quale è “The English Riviera” (2011), è inevitabile. Allo stesso tempo, però, l’avere un pezzo da novanta nella propria discografia è un esercizio critico che permette di saggiare evoluzioni e proiezioni.

Il pre “Riviera” era stato l’eclettismo post punk electro di “Pip Paine” (2006) e la marcata e sbilenca vena elettronica di “Nights Out” (2008) – di cui è stato festeggiato il decennale con un tour proprio quest’anno. Il post, invece, ha spostato il raggio d’azione su terreni più pop (“Love Letters”, 2014) che non hanno disdegnato nemmeno flirt artistici con il french touch e la club-disco (“Summer 08”, 2016). Un ampliamento che dà prova delle multiformi sfaccettature di cui si compone l’anima sonora dei britannici. Reduce dalla co-scrittura e co-produzione dell’ultimo lavoro della cantautrice svedese Robyn (“Honey”, 2018) dalle atmosfere marcatamente synthpop, Mount per la scrittura di Metronomy Forever si è rintanato su una collina della campagna inglese, abbandonando la sua dimora parigina.

Per questo sesto disco il leader dei Metronomy non si è affatto risparmiato: ha prodotto l’album e diretto i videoclip dei singoli Salted Caramel Ice Cream e Lately, dando sfoggio della sua poliedricità. Di primo acchito, ciò che risalta subito di “Metronomy Forever” è la sua prolissità: diciassette brani non si vedevano dai tempi dei primi due dischi. In seconda battuta, l’ascolto di questa folta schiera di brani rivela un intento sintetico: coniugare le varie sfumature dei lavori precedenti. Ci sono il synthpop, l’indietronica e il french touch più recenti, ma anche l’electro punk degli esordi, con punte di ambient lisergico dal gusto vintage.

Wedding è un’intro dall’atmosfera solenne, decorata di ghirigori sonori che rimandano ad ambienti nuziali. In realtà funge da apripista per il pop groovoso di Whitsand Bay, in cui Mount canta di questa baia situata nel Sud-Est della Cornovaglia, porto franco in cui si rifugia per sottrarsi al logorio del quotidiano. Insecurity è un brano che funziona con la sua anima synthpop in crosta electro punk, mentre Salted Caramel Ice Cream pecca di eccessivo citazionismo sterile con la sua patina plasticosa in salsa eighties.

Lately e Lying Low danno una sterzata qualitativa al disco: la prima con un incrocio catchy tra synth piacioni, ritmi dispari e chitarroni ruvidi; la seconda con questo big beat lisergico che ricorda i Chemical Brothers di “Surrender”, seppur con minor attitudine techno. The Light e Miracle Rooftop, invece, sono raffinate declinazioni di french touch tra Daft Punk e i Cassius del compianto Zdar. Se Sex Emoji è un brano ironico ma in perfetta assonanza con il fil rouge sonoro del disco, Upset My Girlfriend, con la sua attitudine lo-fi arricchita solo nel ritornello da una ritmica di basso gommosa, è un episodio isolato, antitetico rispetto all’andazzo generale, sebbene perfettamente riuscito.

L’idea sintetica che è alla base di “Metronomy Forever” porta con sé un rischio da non sottovalutare: il pericolo del guazzabuglio di generi. Tuttavia, al netto di un paio di episodi non riusciti, questo non si è verificato. Motivo? Il groove, collante vincente in un songwriting ispirato.

(2019, Because Music / Universal)

01 Wedding
02 Whitsand Bay
03 Insecurity
04 Salted Caramel Ice Cream
05 Driving
06 Lately
07 Lying Low
08 Forever Is A Long Time
09 The Light
10 Sex Emoji
11 Walking In The Dark
12 Insecure
13 Miracle Rooftop
14 Upset My Girlfriend
15 Wedding Bells
16 Lately (Going Spare)
17 Ur Mixtape

IN BREVE: 3,5/5

Nasco a S. Giorgio a Cremano (sì, come Troisi) nel 1989. Cresco e vivo da sempre a Napoli, nel suo centro storico denso di Storia e di storie. Prestato alla legge per professione, dedicato al calcio e alla musica per passione e ossessione.