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Morrissey – Years Of Refusal

E’ pazzesco come Steven Morrissey – grazie a quella voce che si ritrova, un po’ indolente, un po’ livida, ammaccata, tristissima, sofferente, ma dotata di ali – riesca a impregnare ogni singola nota che compone. Ci sono pochi artisti che hanno lo stesso dono; come una sorta di marchio, come il profumo nell’aria che “segna” una casa per anni. Cambiano i coinquilini (Johnny Marr e gli Smiths), cambiano le epoche (il livore degli anni ’80, la depressione dei nineties, l’asetticità degli anni zero), cambia la vita (la politica, la sua sessualità sempre in “evoluzione”), ma i dischi di Steven continuano ad emanare quella fragranza a soli pochi attimi dall’aver varcato la soglia. Un artista stordito da spettri, Morrissey. Che per liberarsene li canta con tutta la forza. Anche in Years Of Refusal, album solista numero nove, convogliano storie di passato, di presente e storie oniriche, vissute, probabilmente, solo nel suo universo creativo, un vero specchio rotto posto dirimpetto al letto. Dunque Morrissey ci racconta della madre affogata in un fiume (Mama lay softly on the riverbed), del suo soggiorno a Parigi il cui abbraccio è più caloroso di quello di qualsiasi essere umano (I’m throwing my arms around Paris), dell’incorreggibile e ingenuo dolore che lega i rapporti umani (All you need is me) e che lo costringe a scegliere la solitudine come rimedio (I’m ok by myself). E queste lettere musicali dalla solitudine sono ricche di languore e di chitarre che dialogano ora con toni più accesi, ora con l’esausto cedere alla delusione. Rock plumbeo, accigliato, isterico, ma denso di storia e, naturalmente, di un’eccezionale qualità (è grande la batteria di Matt Walker). Pollice verso solo per il binomio When I last spoke to Carol (una specie di storia latinoamericana con chitarre flamenco e fiati messicani), That’s how people grow up, ritmata da un pop a tratti fastidioso, infantile. Il resto compone un disco davvero ottimo che concede all’ascoltatore anche la grazia di due dolcissime ballate: You were good in your timeIt’s not your birthday anymore.“La tua voce può anche dire di no, ma il cuore ha un suo proprio cuore” canta Morrissey. Una voce amara e un cuore grande. Scrivetelo sulla sua tomba.

Nota 1: Le tracce “That’s how people grow up” ed “All you need is me” erano già state pubblicate da Morrissey nel “best of” uscito lo scorso anno.

Nota 2: In “Black Cloud” appare la chitarra di Jeff Beck.

(2009, Decca)

01 Something Is Squeezing My Skull
2 Mama Lay Softly On The Riverbed
03 Black Cloud
04 I’m Throwing My Arms Around Paris
05 All You Need Is Me
06 When I Last Spoke To Carol
07 That’s How People Grow Up
08 One Day Goodbye Will Be Farewell
09 It’s Not Your Birthday Anymore
10 You Were Good In Your Time
11 Sorry Doesn’t Help
12 I’m OK By Myself

A cura di Riccardo Marra