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Mudhoney – Plastic Eternity

Quando nel 1988 Bruce Pavitt e Jonathan Poneman decisero di dedicarsi anima e corpo al loro progetto di etichetta discografica indipendente, la Sub Pop Records, pubblicando il primo singolo di una band chiamata Mudhoney (e quel singolo era “Touch Me I’m Sick”), nessuno, tantomeno i diretti interessati, poteva pensare o sperare che trentacinque anni dopo sarebbero stati una vera e propria leggenda. Loro come label, quei ragazzi come band. Eppure è successo, la Sub Pop oggi è un’istituzione, un esempio di tenacia e lungimiranza artistica, mentre Mark Arm e i Mudhoney lo sono per la loro attitudine, per il loro non essersi mai svenduti, rimasti sempre fedeli alla sporcizia che in quel 1988 alimentava tanto la loro musica quanto le loro vite, contribuendo in modo determinante al sound alternative di un intero decennio e oltre.

Plastic Eternity arriva così in questo 2023 a suggellare un percorso congiunto lungo trentacinque anni, ma in fondo resta sempre un disco dei Mudhoney al cento per cento, per lo stile inconfondibile e per il modo irriverente in cui la band getta uno sguardo a ciò che gli gira intorno. Messo a punto in piena pandemia, quindi con tutta quella serie di input che purtroppo ognuno di noi conosce benissimo, “Plastic Eternity” è stato registrato in appena nove giorni ai Crackle & Pop! Studio di Seattle, poco prima che il bassista Guy Maddison si trasferisse in Australia, nove giorni in cui i quattro insieme al produttore Johnny Sangster hanno messo nero su bianco le idee raccolte nel corso dei difficili mesi precedenti. E i Mudhoney ne hanno davvero per tutti, non risparmiando pressoché nessuna di quelle tematiche che oggigiorno dovrebbero campeggiare sulle prime pagine di tutti i quotidiani, se solo l’umanità andasse nella direzione giusta.

Ad esempio la questione ambientale e climatica, la rabbia per un mondo sovraccarico di rifiuti allo sfinimento (Cascades Of Crap), un mondo invaso dalla plastica che finisce per “plastificare” ogni singolo aspetto delle nostre vite (Plasticity), un lento e apparentemente inarrestabile processo di autodistruzione e autosabotaggio (Cry Me An Atmospheric River). Ovviamente non mancano le consuete invettive anticapitalistiche (Human Stock Capital), pugni in faccia alle nuove derive di estrema destra (Flush The Fascists), così come il disgusto per la disinformazione cavalcata da certi media, soprattutto in ambito antiscientifico (Here Comes The Flood). E poi il dolce messaggio finale di un Mark Arm che, nel bel mezzo delle difficoltà che ci circondano, trova gioia nella vicinanza dei suoi piccoli amici a quattro zampe (Little Dogs).

Musicalmente, al netto di qualche flebile e a tratti impercettibile venatura sintetica, siamo al cospetto del solito pastone di punk, rock, garage e psichedelia cui i Mudhoney hanno abituato, tra riff fuzzosi in cui Steve Turner dà come sempre il meglio di sé (la traccia d’apertura Souvenir Of My Tip e Move Under ne sono una esplicita e consistente testimonianza), ritmiche allucinogene che Dan Peters e Guy Maddison tessono da fenomeni (il singolo Almost Everything, che fa davvero il suo dovere da singolo), distorsioni avvolgenti (Cry Me An Atmospheric River) e un bell’omaggio sonoro e concettuale a Tom Herman, primo storico chitarrista dei fondamentali Pere Ubu (Tom Herman’s Hermits). E poi la voce aspra e indolente di Mark Arm, che sputa sentenze con quell’umorismo incazzato che lo ha sempre contraddistinto, potente ed efficace come fossimo ancora nell’88.

Se volevano offrirci e offrirsi un modo per celebrare la ricorrenza che li accomuna, i Mudhoney e la Sub Pop possono dire di aver fatto senza alcun dubbio un egregio lavoro con questo “Plastic Eternity”, tredici tracce perfette per ricordarci e ricordarsi da dove vengono, dove sono stati negli ultimi trentacinque anni e dove probabilmente li ritroveremo ancora fra altri dieci, venti o trent’anni (e speriamo anche oltre). Sono una certezza, una comfort zone in cui ciascun orfano dei nineties può ritrovarsi sapendo già benissimo cosa andare a trovare. E tanto basta per giustificare l’esistenza stessa di un lavoro come “Plastic Eternity”.

— 2023 | Sub Pop —

IN BREVE: 3,5/5