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My Morning Jacket – The Waterfall

thewaterfallDieci secondi passano dalla pressione del tasto play, qualunque sia lo strumento sul quale si decida di premere il tasto play, e i sintetizzatori anni ‘80 che pulsano come beat della canzone (di gran moda nel mondo indie di questi tempi) fanno subito esclamare “questi a ‘sto giro si sono fottuti il cervello”. Arrivati al ritornello dell’introduttiva Believe (Nobody Knows), un misto tra High School Musical, il rock da arena degli anni ‘70/’80 e il peggior indie rock che infesta il mondo minacciando seriamente la dignità della musica underground, si rimane a bocca aperta.

Di certo i My Morning Jacket non sono mai stati la band della vita, la band che rivoluziona il suono di un’epoca, ma sono sempre stati, al netto della noia recente, una band ben più che dignitosa. Sentire Jim James urlare “BILIIIV BILIIIV BIILIIIIIIIIIIV!” su una melodia da teen band lascia totalmente basiti. La tentazione è di non andare oltre, ma dovevamo, e così ci imbattiamo nei synth da Genesis post-Gabriel di Compound Fracture, con un falsetto quasi soul, affascinante finché non ricompare un altro ritornello da pubblicità degli assorbenti.

Zeus li benedica, sti ragazzi sono senza vergogna. E nel corso dei quasi 50 minuti di questo The Waterfall (apparentemente solo metà di quanto registrato nel corso delle sessions con John Leckie, noto per aver prodotto “The Bends” dei Radiohead) si sale e si scende, in termini di qualità, come su una montagna russa.

Il tentativo di avvicinarsi al prog (dei già citati Genesis, ma virando più verso il periodo pop dell’incarnazione con frontman Phil Collins), del quale si coglie il segno soprattutto per le tastiere a tratti oscene, perché del prog degli Yes manca sia la qualità dei testi, sia la destrezza tecnica, viene fortunatamente limitato ad alcuni episodi, mentre lo spirito dei ’70 viene evocato in più occasioni, quando il fantasma di Harry Nilsson (col quale Jim James ha una certa affinità vocale) aleggia sulla delicata Get The Point, o quando CSN&Y fanno sentire la loro influenza in numerose occasioni, per esempio.

I My Morning Jacket non hanno mai fatto il botto “vero”, nonostante esibizioni live rimaste nella storia (4 ore al Bonnaroo nel 2008 non sono impresa da tutti), e difficilmente lo faranno con questo “The Waterfall”, che a tratti suona come i Fleet Foxes, a tratti come un disco per ragazzini di 13 anni con testi pseudo-spirituali spesso intollerabili nel loro essere incredibilmente kitsch e melodie di una banalità allarmante.

Ma in questo mezzo casino emerge una perla come Only Memories Remain, che prende (involontariamente?) le mosse da “Don’t Let Me Down” di Lennon, la ricalca e ci costruisce su un piccolo capolavoro soul-rock di 7 minuti che è verosimilmente uno dei pezzi migliori dei My Morning Jacket. E qui, alla fine dell’album, si concretizza il dubbio che attanaglia molti quando si parla di questa eclettica band: e se ci dessero un taglio con l’eclettismo e facessero un album di semplice, schietto, tradizionale rock, non potrebbero essere loro a prendersi lo scettro del mainstream rock, unendo qualità e popolarità come non succede davvero da un fottio di tempo? Lo scopriremo solo vivendo, diceva un classico del mainstream italiano.

(2015, ATO / Capitol)

01 Believe (Nobody Knows)
02 Compound Fracture
03 Like A River
04 In Its Infancy (The Waterfall)
05 Get The Point
06 Spring (Among the Living)
07 Thin Line
08 Big Decisions
09 Tropics (Erase Traces)
10 Only Memories Remain

IN BREVE: 3/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.